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FRANCO BUFFONI, Theios, Novara, Interlinea, 2001, pp. 76, Euro 9,30; ID., Del maestro in bottega, Roma, Empirìa, 2002, pp. 177, Euro 12,50 ; ID., The Shadow of Mount Rosa, traduzione di Michael Palma, Stony Brook (NY), Gradiva Publications, 2002, pp. 134, $15,00.

Theios sta per ‘zio’, e in questa miniraccolta Franco Buffoni racconta di suo nipote Stefano, nato nel 1979, dalle dolci inezie dell’infanzia («Stefano parla adesso / Si fa capire ripete tutto / Proprio come un ometto / Va al gabinetto») alle spine dell’adolescenza («Così si sveglia tardi, raffreddato / E denso ancora di umori notturni, un po’ legato / dal gonfiore restante nella tuta / Entra in bagno»). Il bagno non è mai troppo lontano nel mondo prosaico e risentito di Buffoni, che rompe volentieri la serie delle istantanee con qualche dettaglio crudo, mostrando la fragilità della realtà degli affetti, e il mondo che vi funghisce intorno. Poiché, come suggerisce il titolo, il libretto è altrettanto la storia dello zio quanto del nipotino. Lo zio è un uomo tranquillo, un intellettuale, un professore, che porta con sé il senso della diversità sessuale (Penna), e brama a tratti l’afrore dei sensi («Desidero l’odore che impregna la tua felpa»). Non so se il ‘tu’ sia sempre il nipote, se sì Buffoni accenna un desiderio doppiamente proibito (perché incestuoso e perché omosessuale), ma in realtà Buffoni dice il piacere anche fisico che danno i bambini ai parenti con la loro semplice presenza. La sua poesia corsiva restituisce l’immediatezza dell’impressione: «Però sì che mi piacevi lì fuori / Da solo a bere il tuo latte / E certo troppo per intervenire / Tra le ginocchia il libro / E quel tirare su di naso». Gli piacciono le frasi iniziate e lasciate a metà, con ellissi che il lettore può interpretare, per esempio nell’ultima citazione «certo troppo per intervenire» si riferisce forse a «mi piacevi». Ma in che senso va inteso «intervenire»? Se leggerete il resto del testo (brevissimo come tutti quelli della raccolta) vedrete la soluzione. Buffoni fa appunto poesia dei pensieri e sentimenti che gli passano in testa. Non sempre ce ne dà la chiave, a volte invece è chiaro come una canzonetta: «Che mese sarà quello in cui mi seppellirai? ». Tutto sarebbe facile se gli sguardi altrui non fossero sospettosi di ogni eccessiva tenerezza fra zio e nipote, madre e figlio. (Ricordo la storia della madre fotografa americana condotta in tribunale per avere documentato con migliaia di scatti tutti i momenti anche osceni dell’infanzia dei figli.) La poesia di apertura auspica un viaggio comune di zio e nipote a cercare «il circo romano nel buio». Quella che chiude la prima delle due parti ammette che ciò non avverrà mai a causa del «primo KGB» che «ti ha già insegnato / A balzi e a cerchi come liquidarmi ». Dunque in Buffoni c’è anche un risentimento politico, il guaio è che nel momento che si entra nella mischia si viene irretiti dal linguaggio degli oppositori, veri o presunti. Intendo che dare a qualcuno del KGB, o del fascista, è linguaggio da stadio politico, la cui stessa forza lo indebolisce. È lontano dal mondo della coscienza poetica. Ma fino a che punto? Se, come pare, la poesia di Buffoni è registrazione del quotidiano, oggetto trovato, essa deve contenere delle brutture. Come dei momenti lirici e pedagogici freschissimi: «Compòrtati bene, come il sole stamattina / Che quasi tra i tigli si nasconde / Per lasciarti studiare, / Sii come lui discreto, non esibire...». Ed è il poeta che parla a se stesso pensando di rivolgersi al ragazzino discolo.
Buffoni, poeta lombardo che ha frequentato romantici e moderni anglosassoni, ha preso da Giudici e forse Sereni quella maniera di gettar lì le cose un po’ enigmaticamente, di mescolare alto e basso, di fare autobiologia. Theios sembra una raccoltina di transizione ma dà un’immagine alla De Pisis di momenti di una vita nell’inarrestabile marcia degli anni. Di più non si poteva dire senza disperderne l’immediatezza. Dopo Theios Buffoni ha pubblicato Del maestro in bottega, una curiosa autoantologia commentata in nove sequenze che raggruppano secondo nuove combinatorie testi per lo più editi nelle precedenti raccolte, con qualche variante. Le sequenze si intitolano Curiositas, Mio sussulto, Ilaria [del Carretto], Poiein, Del maestro in bottega, Audeniana, Byroniana, Rimbaudiana, Indizi. Qui Buffoni veste a volte i panni del professore («Al canto in cerchio sincopato / Delle lingue desinenziali / Opporre il vacuo suono inane / Dell’ex lingua di Chaucer» inizia la prima poesia), traccia momenti di una storia della poesia omosessuale, combina istanti di rapimento appunto alla Rimbaud (il moscerino nell’urinale) con microcitazioni. Così l’ultimo testo, «Il soldato si accarezza nel tragitto di guardia / Ornato come maschio nella carne della moglie. / Mordilo l’amore, / Per Paolo...» si spiega nella nota come variante di una poesia di Carolyn Forché, e ‘Paolo’ è San Paolo, forse citato per le sue ben note affermazioni sul matrimonio («per non ardere»). Grazie alle note capiamo meglio anche qualche frammento di Theios, per esempio il «meraviglioso pioppo che si inchina... al vento» è chiosato inaspettatamente come «idealizzazione del logo del nuovo indirizzo di posta elettronica» (p. 101). Insomma, in questo libro splendidamente stampato Buffoni racconta e spiega se stesso regalandoci la sua amicizia testuale, mostrandoci la sua bottega.
Intanto presso le Gradiva Publications di Stony Brook, N.Y., esce una bella scelta delle poesie con ottima traduzione inglese di Michael Palma. Il volume ripercorre il tragitto da Nell’acqua degli occhi (1979) a Il profilo del Rosa (2000) e conferma quanto vi sia di traducibile e raccontabile nella poesia di Buffoni. L’esperienza di una malattia recente, fortunatamente superata, getta un’ombra testamentaria sui testi ultimi. Altrove rimpiange in falsetto ciò che non è stato e evoca incubi: «Sarei stato un cittadino rispettabile / Avrei avuto una bella famiglia, magari una figlia / Crocerossina... Invece eccomi adatto a esperimenti / Mononucleari, e senza più sortite in selleria / Al tramonto, dai butteri, al parco dell’uccelliere» (dove come si vede anche in vena malinconica Buffoni non rinuncia al catalogo di Leporello), nella traduzione: «Instead here I am fit for mononuclear / Experiments, and no more riding out in the saddle».
Il problema della poesia di Buffoni è il problema di raccontarsi, mettersi in scena, dire e non dire. Delle volte rischia molto, come quando – seguendo Heaney nelle torbiere sacrificali – paragona Oetzi, l’uomo conservato dal ghiacciaio, agli omosessuali nei lager nazisti (Tecniche di indagine criminale). Ma probabilmente tutti i suoi testi vanno letti come diario di un vissuto dichiaratamente povero, senza separarne le idee se non come sentimenti e soluzioni provvisorie di una condizione contraddittoria di sicurezza-insicurezza che è di per sé poetica.

Massimo Bacigalupo

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