« indietro ELENA ŠVARC, Dikopis’ poslednego vremeni, «Puškinskij Fond», Sankt-Peterburg, MMI, pp. 86.
La nuova raccolta di Elena Švarc conferma la vitalitŕ e la complessitŕ di questa originale voce poetica pietroburghese. Affermatasi giŕ nei circoli poetici non ufficiali della Leningrado degli anni Settanta, ha cominciato a pubblicare i propri versi nel 1980 (la prima raccolta Tancujuš čij David (David danzante) č del 1984). Ben conosciuta all’estero (da segnalare una importante edizione bilingue, russoinglese, delle sue poesie), Elena Švarc occupa oggi una posizione di primo piano nella poesia russa contemporanea, come confermano le piů recenti sue raccolte legate al meritevolissimo piano editoriale pietroburghese del «Puškinskij Fond» (Fondo Puškiniano).
Proprio in questa serie nel corso degli anni Novanta erano giŕ apparsi due solidissimi libri, Pesnja pticy na dne morskom (Il canto dell’uccello sul fondo del mare, 1995) e Zapadno-vostočnyj veter (Vento di est-ovest, 1997), oltre ad un terzo volume uscito sempre a Pietroburgo, nel 1996, questa volta per i tipi della casa editrice EZRO dell’associazione letteraria l’»Ornitorinco», Mundus Imaginalis: Kniga otvetvlenij (Libro delle ramificazioni). Il decennio si era chiuso con una raccolta delle opere: Stichotvorenija i poemy (Liriche e poemi, San Pietroburgo, 1999).
Adesso con questo nuovo libro, dall’eloquentissimo titolo Scrittura selvaggia del tempo recente (ma anche del ‘tempo ultimo’), la poetessa offre un ricchissimo intreccio di voci e policromie che conferma il profondo radicamento della sua opera nella tradizione poetica nazionale, nella sua memoria creativa.
Prima di passare ad una disamina piů da vicino degli aspetti salienti della raccolta sono doverose alcune riflessioni generali sulla poesia di Elena Švarc.
La poetessa risente certamente della situazione generale della poesia russa degli ultimi decenni e nelle sue piů intense e profonde intersecazioni intertestuali, nel caos delle voci e dei rimandi, puň essere ricondotta alla vasta e, ahimé spesso abusata, etichetta del postmodernismo. Allo stesso tempo il suo progetto poetico, lontano dagli eccessi e dalle pose intellettuali, rimane solidamente classico nei toni e nelle forme, rimane profondamente ‘pietroburghese’, tanto č vero che alcuni critici hanno voluto individuare nella sua poesia riflessi della grande tradizione pietroburghese del primo Novecento, specie della poesia di Innokentij Annenskij e poi dell’ultimo disperato cantore di un mondo culturale al tramonto, Konstantin Vaginov. Non č un caso che in ogni lirica di Elena Švarc, silenziosa, quasi immateriale, č percepibile la presenza di Pietroburgo come cifra fondante i tratti sia formali, sia concettuali di questa esperienza poetica. Accanto a questi nomi č opportuno ricordare l’influsso di Mandel’štam, dell’Achmatova, Kuzmin, Zabolockij e tra i contemporanei un’evidente vicinanza all’esperienza di Brodskij e forti consonanze con la poesia di Sergej Stratanovskij.
Senza dubbio la poesia di Elena Švarc č squisitamente concettuale (lo si deduce giŕ dai titoli delle liriche) e nel contempo aspira, come sta ad indicare il titolo stesso di una sua raccolta, Vento di est-ovest, a combinare in sé due mondi poetici, quello occidentale e quello orientale, in un punto di incontro privilegiato, Pietroburgo, di cui essa, la poesia di Elena Švarc, aspira ad essere la reincarnazione estetica e, nel contempo, esistenziale. Giŕ in questa prospettiva, č chiaro, la poesia di Elena Švarc mostra tutto il suo potenziale dinamismo mitopoietico. In definitiva, essa č pervasa da uno specifico mitologismo, una vera e propria sua dimensione mitologica, che si realizza in una serie originalissima di maschere mitiche, di voci del mito, attraverso le quali si esprime l’eroina lirica (la poetessa stessa?) di Elena Švarc (le maschere della poetessa antico-romana Cinzia, della monaca Lavinia, dell’estone-cinese Arno Zart, ecc.).
Ed č attraverso questo dialogo al di lŕ degli impedimenti del tempo e dello spazio, degli steccati ideologici e confessionali, che nella poesia della Švarc si afferma in tutta la sua patetica contraddittorietŕ, ma nel contempo pienezza, l’idea dello Spirito, del soprannaturale che nelle sue diverse espressioni-manifestazioni costituisce il ‘tema’ della poesia di Elena Švarc e che nei rimandi cristiani, buddisti, giudaici, sembra realizzarsi in una sorta di ‘ecumenismo poetico-spirituale’ sempre piů fortemente segnato da toni mistici e storiosofici, che tuttavia, come ha acutamente notato il critico Valerij Šubinskij, si manifestano in una sorta di visionarismo razionale, che ricorda, ad esempio, l’esperienza poetica di un George Herbert o di Gerald M. Hopkins.
La lingua della Švarc č complessa e varia di toni e inflessioni. In essa č evidente la tendenza verso uno slittamento nell’ambito del parlato e verso la commistione di piani semantici lontani (in questo non č difficile riconoscere l’ascendenza della poesia del poeta settecentesco Gavrila Derčavin anche attraverso il filtro brodskiano). Un evidente effetto di straniamento č ottenuto attraverso l’uso di modi e espressioni del linguaggio infantile in un contesto alto e filosoficamente complesso. Piů in generale i vari idioletti si fondono nel denso intreccio delle diverse voci e maschere che la Švarc introduce. Nella raccolta Mundus imaginalis, ad esempio, nelle poesie scritte a nome di altri, a parte il possibile riferimento a persone reali della cerchia poetica pietroburghese e ad un innegabile pathos parodistico, risulta evidente l’esigenza di moltiplicare i punti di vista e le potenzialitŕ espressive della parola poetica. Tale circostanza appare piů evidente se si pensa poi ai ricercatissimi tratti iconico-tropaici che caratterizzano la poesia della Švarc. In essi č presente un forte metaforismo, orientato a tratti verso una sorta di neobarocco di gusto indubbiamente postmoderno, ma riconducibile in primis al metaforismo dell’ode settecentesca rivisitato in chiave alogica attraverso l’esperienza di Chlebnikov e, perché no, degli stessi poeti dell’Oberiu, Charms e Vvedenskij. Il discorso poetico della Švarc si realizza poi in un disegno ritmico polimetrico illusoriamente tradizionale, ma invece aperto ad una forte sperimentazione che parte comunque, come gran parte della tradizione russa, anche la piů recente, dalla parola detta, declamata, tanto č vero che non risultano poi in essa infrequenti improvvisi accenti addirittura majakovskiani, forse suggeriti da uno specifico anelito nella ricezione pulsante, romantica, della vita circostante che ricorda anche Marina Cvetaeva, senza tuttavia accettarne i toni improvvisamente caldi, appassionati, esclamativi.
Ma vediamo adesso piů da vicino la nuova raccolta Scrittura selvaggia del tempo recente. In essa Elena Švarc confermando la propria natura di ‘poeta della cultura’, ripropone il proprio mondo poetico polifonico, complicandolo di ulteriori rimandi intertestuali e di sottotesti storiosofici e spirituali in un turbine di parole e immagini e in un continuo mutamento delle coordinate spaziali e temporali. La raccolta, inaugurata da una lirica introduttiva, si articola in tre sezioni, la prima e la terza costituite da brevi liriche, la seconda da sei poesie lunghe, quasi in forma di poema. La lirica introduttiva, Pominal’naja sveča (La candela commemorativa), giŕ nel titolo e poi nei suoi toni accentua il tono religioso, ma personalissimo, non confessionale, della raccolta: «Io cosě tanto amo il fuoco, / Che amo baciarlo, / A lui mi protraggo con la mano/ Ed in esso detergo il mio volto...».
E subito, nella prima sezione, ecco un torrente in piena di versi ed espressioni ricolme di religiositŕ appassionata, la lirica attribuita al re stilita, sogni in forma di preghiere, e poi, d’improvviso, terribili e cupe immagini che parlano della vita e dei suoi antipodi, di Dio e della sua assenza, dell’inferno e del cupo mare baltico, l’apparizione di una fissa della mente, uno gnomo dai tre occhi («gnom trechglazyj ») in una sorta di improvviso, ma in realtŕ fittizio e razionalissimo, ritorno al romanticismo. Le liriche dedicate ad una gatta accentuano i tratti infantili di alcune intonazioni caratteristiche della Švarc, mentre la sezione si chiude con una lirica dedicata alla santa visionaria Ksenija Peterburgskaja che ci riporta, d’improvviso, anche per i suoi tratti linguistici arcaicizzanti, alla atmosfera misticheggiante d’apertura.
Tra le poesie della seconda sezione particolarmente eloquente č la prima, Gostinica Mondechel’, fondata su un gioco di parole costruito su lessemi tedeschi e francesi che possono corrispondere a chiara luna o mondo-inferno. L’albergo Mondechel’ č una metafora del nostro mondo e del mondo poetico della Švarc, un mondo di illusioni o visioni, nel quale lo spirito poetico che anima il testo incontra e quasi si identifica in una spettrale Pietroburgo ora con la santona Blavatskaja, ora con un personificato e vampiresco Ecclesiaste. Similmente al corvo di Poe: «Mormora la farfalla - mondechel’, mondechel’, / Insieme con la chiara luce l’oscuro terrore». Accanto ai poemi Kov čeg (L’arca), Cogito ergo non sum, dedicato alla espulsione dalla Russia sovietica nel 1922 dei capiscuola dell’idealismo russo (N. Berdjaev, S. Bulgakov, Lev Karsavin, ecc.), ed un Vol’naja oda filosofskomu kamnju Peterburga (Libera ode alla pietra filosofale di Pietroburgo), di particolare forza risultano i poemi čarenyj anglicanin v Moskve (Mig kak sfera) [‘L’inglese arrostito a Mosca (L’attimo come sfera)’] e Portret blokady cerez žanr, natjurmort i pejzaž (Ritratto dell’assedio attraverso il quadretto di genere, la natura morta e il paesaggio).
Nel primo testo in toni allucinati e sinistri si descrive la morte a fuoco lento (l’agonia č rallentata fino a durare un’intera notte) decretata da Ivan il Terribile del medico inglese Eliseus Bomelius, servitore dello zar in qualitŕ di farmacologo, creatore di pozioni velenose. Il testo, composto in una lingua densa e ricca di arcaismi, riprende l’esempio del Puškin poeta di tematica storica, ma anche le di lui imitazioni dell’Inferno dantesco: si veda il verso I tam pljašet besenok - syn satany... (E lŕ balla un diavoletto, figlio di satana...). Nella cruda trattazione della esecuzione, vissuta anche attraverso il sogno-incubo della sorella lontana del condannato, si rende manifesta tutta la crudeltŕ della storia russa, aldilŕ di rassicuranti sue interpretazioni provvidenziali. Ci troviamo di fronte, in questa prospettiva, ad una riaffermazione di quell’ecumenismo intellettuale che caratterizza il mondo poetico della Švarc, lontano da qualsiasi specifica collocazione confessionale. Eloquentemente allo zar sono attribuite le seguenti parole rivolte ai carnefici: «Vy, tam! Potiše žar’te busurmana, / Velju ja žit’ emu do samogo utra» («Voi, laggiů! Piů lentamente arrostite l’infedele, / Io a lui ordino di vivere fino al mattino »), dove l’espressione busurman, concretamente «musulmano, maomettano», riferita ad un suddito inglese ha l’evidente funzione di sottolineare l’intolleranza propria dell’autocratico mondo moscovita.
Nel secondo testo, con altrettanta lapidaria forza poetica e incisivitŕ descrittiva si forniscono tre quadri della vita della Leningrado assediata. Nel primo, un caso di cannibalismo punito con l’immediata fucilazione (l’ignaro testimone della scena se ne diparte «camminando tra i cadaveri o andando tutto intorno, quasi fossero pozzanghere»), nel secondo, la morte in pentola di un gatto, fatto passare per coniglio, e poi del giovane eroe affamato e ingobbito in una disperata oscuritŕ esistenziale, cui il rimando esplicito a Rembrandt attribuisce una specifica connotazione figurativa. Nel terzo quadro, il paesaggio, una scala, un cortile, una chiesa tracciati su carta con carboncino e sangue di corvo.
La terza sezione della raccolta si sviluppa in un ulteriore turbine di immagini e in un intenso approfondimento della natura concettuale e filosofica del discorso poetico della Švarc. Ecco un Traktat o nerazdel’nosti ljubvi i stracha (Trattato sull’indivisibilitŕ dell’amore e del terrore) e un Traktat o bezumii bož’em (Trattato sulla follia di Dio), delle Stansy o nepolnocennosti mira (Stanze sull’insufficienza del mondo). Nei singoli testi sono riconoscibili riecheggiamenti a Chlebnikov, Mandel’štam, alla Cvetaeva, a Pasternak, nel contempo Elena Švarc continua nella sua opera di autodeterminazione linguistica con arcaismi, neologismi, evidenti imprecisioni linguistiche (ad esempio vremjaprovoždenie (‘trascorrimento del tempo’ invece di vremjaPREprovoždenie) ed infine improvvisi prosaismi o infantilismi (la poesia Verčen’e, ‘Rotazione’, comincia con il verso Kružis’, vertis’! ‘Gira, ruota’ che riecheggia l’incipit di una nota canzonetta popolare: Krutitsja, vertitsja/ Šar goluboj («Si volge, ruota / L’azzurro palloncino»).
In conclusione, questo nuovo libro di Elena Švarc conferma, se ce ne era bisogno, il valore di questa poetessa e deve servire da piů forte stimolo a presentare in misura adeguata la sua poesia in traduzione al lettore italiano. Stefano Garzonio
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