« indietro ARMANDO ROMERO, Cuatro líneas, Instituto Veracruzano de la cultura - Editora de Gobierno, Veracruz-México, 2001, pp. 56.
Secondo Joë Bousquet «la poesia è la lingua naturale di ciò che siamo senza sapere». Secondo Álvaro Mutis, che firma l’introduzione a queste liriche, Armando Romero è uno dei poeti che più si avvicinano alla definizione di Bousquet, in quanto lui riesce ad attraversare «le torbide acque del quotidiano» e a vedere ciò che a noi, in questa nostra obbligata dimensione, non ci è permesso di percepire. Romero (Cali, Colombia, 1944), è uno scrittore di grande duttilità e provata esperienza, che ha frequentato la saggistica e la narrativa oltre che la poesia, in versi e in prosa, avendo ormai all’attivo al meno una ventina di titoli. La presente raccolta, lieve, di altissimo lirismo, è composta di una serie di 40 quartine, tutte dedicate al tema dell’amore, della percezione del corpo amato attraverso il proprio, della percezione del vuoto del mondo attraverso la pienezza del sentimento, della molteplicità dell’essere nella devozione escludente della comunione. E poiché dire questi paradossi si rivela inevitabilmente una sfida, emerge anche il tema della parola, che insorge ribelle ai comandi del poeta («Stessa cosa avviene col tuo corpo / Impossibile con le parole »), ma che a un tratto si rivela e si concede mediante l’assoluto del nome proprio: «Hay un fragmento de isla / Que se quedó entre mis dedos / Después de nuestra noche de amor / Tiene las piedras azules de tu nombre» («C’è un frammento d’isola / che mi è rimasto tra le dita / dopo la nostra notte d’amore / ha le pietre azzurre del tuo nome»). Come l’iniziato portato ad afferrare l’identità tra nome e volto e l’esaltazione dell’io nell’abbandono al tu, Romero ricorre con notevole grazia e leggerezza ai vecchi topoi, come quello dello specchio al centro del labirinto, rappresentazione mitica classica dello spazio di rivelazione: «Bienvenido a tus puertas traje mi rostro / Tus bellos ojos de amor iluminaban / Creo que fue en Caracas cuando te dije / Que del laberinto sólo restaba ese espejo» («Benvenuto alle tue soglie ho portato il mio volto / i tuoi begli occhi d’amore illuminavano / credo sia stato a Caracas che ti ho detto / del labirinto resta solo questo specchio»).
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