« indietro Balocchi da sobborgo di Andrej Rodionov a cura di Francesca Lazzarin Sono pronto a scommettere che chi applaude durante le letture di Rodionov, come me, prova un leggero tuffo al petto, come sulle montagne russe: la sensazione che questa zona d’ombra della realtà è sempre qui accanto, che può trovare posto nella tua stessa coscienza, fa sentire in qualche modo a disagio. IL’JA KUKULIN La prima raccolta pubblicata da Andrej Rodionov nel 2003 porta un titolo quanto mai emblematico: Dobro požalovat’ v Moskvu [Benvenuti a Mosca]. Niente di più adatto a riunire dietro un unico frontespizio i testi di quell’autore esordiente che, cresciuto nell’estrema periferia a nord-est della capitale russa, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 era stato acclamato a innumerevoli poetry slam. I soggetti dei suoi versi, precedentemente già stampati su rivista oltre che in rete, portavano il lettore, seguendo un immancabile movimento centrifugo, verso i margini di Mosca, dove anche l’intricata e abnorme tela di ragno della metropolitana si interrompe e cede il passo alle električki, i treni a breve tratta, e alle maršrutki, i minuscoli bus che collegano i capolinea della metro a una miriade di cittadine satellite tutte uguali: Mytišči, Ljubercy, Chimki … File e file squadrate di palazzi a quindici piani si alternano a chioschi di fiori o di polli alla griglia piazzati anarchicamente lungo le strade, anonime caffetterie dei tempi sovietici convivono indifferenti con i surrogati russi di Starbucks. E cantieri, cantieri ovunque, sempre al lavoro tra i pilastri in cemento armato di un futuro centro commerciale o di un nuovo mostro edilizio, perché – e questa è l’amara conclusione di una poesia dello stesso Rodionov, tratta dalla raccolta Igruški dlja okrain [Balocchi da sobborgo] – tutta la speranza sta lì, nel far crescere fino all’implosione questo ibrido suburbano («si spera solo nei cantieri, si tirano su nuove case», Okna gorjat v mnogoetažnych korpusach [Ardono le finestre di palazzi a molti piani], v. 40). Chiunque sia stato in Russia sa bene come il distacco tra la città, soprattutto se si parla delle due metropoli Pietroburgo e Mosca, e una non meglio precisata ‘provincia’ che si estende su quasi un sesto del pianeta sia inimmaginabile. Nella seconda metà del Novecento ha iniziato a svilupparsi tra i due poli contrapposti di centr e glubinka – un termine colloquiale che si riferisce alla congerie di località remote, lontane dai centri pulsanti del paese – anche la realtà del sobborgo cresciuto senza criterio attorno al cuore di una megalopoli in continua espansione. Mosca è tradizionalmente una città che si è ampliata, dalla notte dei tempi, seguendo la traccia di cerchi concentrici sempre più grandi. Ma la realtà periferica che in russo si può chiamare, colorandosi di sfumature diverse e intraducibili, okraina, predmest’e o prigorod – termini le cui occorrenze nei testi di Rodionov non si contano – rifugge da questa logica e si gonfia in tutte le direzioni senza mai acquisire un profilo definito. I suoi tratti sono ben sintetizzati in un’affermazione che Vsevolod Emëlin, poeta e critico, ha riferito a una povest’ firmata da Dmitrij Danilov, ‘compagno di strada’ di Rodionov e simile a quest’ultimo nella scelta di esplorare il mondo suburbano moscovita. Emëlin ha parlato in quella sede di «margine [della città] che si espande all’infinito»: forse solo tramite un ossimoro si può cogliere l’essenza dell’okraina, originariamente legata alla parola kraj, ‘confine’ che, pure, in questo caso ha perso le sue coordinate geografiche. La poesia di Rodionov può sicuramente inserirsi in un filone moscovita dove l’immagine della città è imprescindibile fattore costitutivo del testo. Nello specifico, la presenza della Mosca di oggi accomuna molti poeti e prosatori contemporanei di spicco: da Andrej Levkin a Evgenij Griškovec, da Aleksandr Iličevskij a Sergej Sokolovskij, solo per citarne alcuni. Ed è innanzitutto la Mosca degli anni ’90 e dei primi anni Zero a partorire gli eroi di Andrej Rodionov, come quelli ritratti nella sua quinta raccolta Balocchi da sobborgo, uscita nel 2007: i gopniki, adolescenti troppo avanti con gli anni che ammazzano la noia tra la strada e la sala giochi, una bottiglia di vodka alla mano, ricorrendo talvolta ad atti di violenza più o meno ingiustificata; o i bombži, senzatetto addormentati nei cantucci dei mercati abusivi; o, semplicemente, gente comune abbruttita da un’esistenza vissuta tra i gangli di un microcosmo caotico e disumano. L’affresco di questo mondo ha fatto spesso ripensare a quella che è passata alla storia come ‘Scuola di Ljanozovo’ (Ljanozovskaja škola) o ‘lirica delle baracche’, una delle espressioni più pregnanti della controcultura sovietica a cavallo tra gli anni ’50 e ’60: voltate le spalle alla tronfia letteratura ufficiale, poeti e pittori avevano preso a incontrarsi nelle loro abitazioni fatiscenti alla periferia di Mosca, traducendo in versi o in immagini, e nella maniera più schietta possibile, la cruda realtà circostante. Tornando ancora più indietro nel tempo, si può ricordare anche quella poesia d’ispirazione urbana che aveva occupato un posto di non poco rilievo nella straordinaria stagione modernista d’inizio Novecento: all’epoca della trasformazione di Pietroburgo e Mosca in metropoli industriali, grandi poeti come Valerij Brjusov, Andrej Belyj, Aleksandr Blok, per non parlare ovviamente dei futuristi, avevano disseminato i loro versi di comignoli di fabbriche, tram e bettole di periferia. A un secolo di distanza, l’attenzione è andata spostandosi sempre più ai margini di quella che da metropoli fin de siècle è diventata convulsa megalopoli del terzo millennio. Possiamo parlare di ‘poesia suburbana’ che però, e questo è un punto molto importante, non si realizza mai in un realistico bozzetto di costume. Se il simbolista Blok in Puzyri zemli (Le bolle della terra, 1905) aveva fatto balenare tra i fumi delle ciminiere di Pietroburgo demoni e spiritelli, le creature più o meno maligne immanenti al mondo circostante secondo l’atavico sentire slavo, Rodionov ci fa incontrare alieni sulla linea viola della metropolitana, esseri deformi a tre teste o bizzarri elfi blu danzanti in una discarica. Certo, al folclore antico-slavo si sono aggiunte le suggestioni della fantascienza di serie B e le figure sgargianti dei videogiochi anni ’80, ma l’elemento fantastico si intromette anche nell’iperrealistica narrazione di Rodionov. I suoi testi, non a caso, sono stati accostati alle ballate (e spesso definiti psichodeličeskie ballady, ‘ballate psichedeliche’) o, per restare nel solco letterario russo, alle byliny, gli antichi componimenti poetici centrati sull’incontro con una creatura soprannaturale tra le usuali pieghe della quotidianità. Indubbiamente, come vuole la tradizione delle ballate o delle byliny, ci troviamo davanti a poesia spiccatamente narrativo-descrittiva, dalle dimensioni piuttosto estese (i testi, articolati quasi sempre in quartine, hanno una lunghezza media di ben dieci strofe; nella sua ultima raccolta, Novaja dramaturgija [Nuova drammaturgia], Rodionov è andato ancora oltre, redigendo veri e propri ‘poemi’ di notevole ampiezza), entro i cui confini si snodano le storie di personaggi veri o fantasiosi. Le intrusioni di questi ultimi, che assomigliano agli umani e agiscono come loro, sottolineano ulteriormente l’assurdità racchiusa nel caleidoscopio di un’esistenza che si rivela ancora più surreale se trascorsa ai margini di Mosca. Differentemente da quanto avveniva nella poesia urbana di tradizione modernista, però, l’io narrante non indossa mai le vesti romantiche del vagabondo reietto e ribelle. Nella postfazione a Balocchi da sobborgo, Il’ja Kukulin ha brillantemente esordito con una definizione presa in prestito dalla sociologia. L’autore dei versi sarebbe un vključënnyj nabljudatel’, un ‘osservatore partecipante’ capace di scrutare e riferire i meccanismi di un mondo in cui è coscientemente immerso, dunque senza alcuna pretesa di oggettività, ma anzi includendo indirettamente anche se stesso nella variegata compagine degli osservati. Questa è la prospettiva della voce impegnata a raccontarci di un mondo ‘basso’ e ostinatamente antiestetico, i cui abi tanti sono lontanissimi tanto dall’attenzione mediatica quanto dagli stessi frequentatori delle serate poetiche in locali moscoviti come il Café Bilingua o il Proekt OGI – un pubblico colto e raffinato che, a dire il vero, costituisce il principale nucleo di lettori di Rodionov e di altra giovane poesia russa. Gli eroi di Balocchi da sobborgo sono squallidi, tristi, volgari, profondamente crudeli e profondamente umani, per quanto non traspaia mai la patetica illusione che una qualche scintilla di umanità prima o poi trionfi: la vita ai confini di Mosca – definita senza mezzi termini «città del male» (Fonar’ [Il lampione], v. 1) – è troppo tesa, violenta e priva di prospettive per sperare in facili scappatoie. Si possono solo cercare il guadagno rapido, le droghe a buon mercato, il breve appagamento di una sessualità animalesca. Condizioni ‘estreme’, che pure si ripetono giorno dopo giorno e non consentono né di ritagliarsi uno spazio a sé congeniale, né di rifugiarsi in rassicuranti ruoli sociali, in «professioni irrimediabilmente antiquate» come recita, non a caso, il titolo della penultima raccolta di Rodionov, pubblicata nel 2008. Si vive una vita innaturale, dove «i gatti latrano tra calcinacci fatiscenti / e i cani miagolano, strazianti, senza sosta», dove «così fuori dal tempo / appare un neonato nella carrozzina / oppure una donna, se va in giro incinta» (Ardono le finestre di palazzi a molti piani, vv. 11-12; vv. 22-24). Il narratore non sembra comunque interessato a far schizzare fuori dalla pagina un qualche grido di denuncia. Dai testi traspare piuttosto un disincantato pessimismo venato di ironico humour nero, tratto in molti casi dominante. E questo non è un unicum in quello che il poeta del samizdat leningradese Viktor Krivulin ha definito il «nero carnevale moscovita» impazzante nella poesia degli ultimi decenni, iniettata di una cupa euforia che non di rado si scioglie in tragedia. Leggendo le storie di Balocchi da sobborgo si può assistere a scene grottesche che sembrano uscite dal cinema tarantiniano, come quella in cui due balordi mascherati da omini del Lego rapinano un videopoker con la complicità di un personaggio dal nome impronunciabile, forse un ‘negro’ che però «a dire il vero era un poco bislacco / parlava russo in gergo, sapeva i proverbi» (Ja uvidel dom sinij-sinij [Ho visto una casa tutta blu], vv. 15-16); oppure alla relazione di un falegname psicolabile con una ragazza di provincia dalle pretese artistiche, capace di conquistare le gallerie più esclusive della capitale spacciando per suoi i disegnini osceni incisi da lui nel compensato, satira al vetriolo di un’arte contemporanea vacua e snob (Kak v šestidesjatye. Bylina [Come negli anni ’60. Bylina]). Ma tra le righe di queste strampalate antifavole c’è spazio, talvolta, anche per momenti di velata compassione, come nel racconto su una capo-magazziniera di mezza età tradita dal marito in casa della suocera e sorpresa a canticchiare, tra i fumi dell’alcol, una celeberrima e struggente canzone del gruppo Akvarium (Davnym-davno, v magazine Knigi [In tempi lontani, nella libreria Kniga]); o di lirismo disarmante, come quando si parla degli alberi di mele ai margini di Mosca, che affondano le radici in un suolo impregnato di veleni eppure paiono ergersi a baluardi di un ultimo paradiso perduto (Pod jablonjami severa Moskvy, korjavymi [Sotto i meli di Mosca nord, decrepiti e nodosi]). Simili squarci sembrano contrastare con la cifra grottesca e ripugnante che spesso viene portata ai massimi livelli senza censure di sorta, suscitando in chi legge repulsione, riso isterico e inquietudine a un tempo. Un simile effetto straniante è dovuto anche all’anfibio impasto linguistico di Rodionov. A parte i riferimenti a realia del paesaggio suburbano, poco familiari non solo al pubblico straniero, ma anche a chi non sia cresciuto giocando coi ‘balocchi da sobborgo’, si tratta di una lingua situata sul sottile crinale tra letterarietà e non letterarietà, esattamente come i soggetti dei versi. Le poesie sono disseminate di termini estrapolati dallo slang dei videogiochi o della malavita, di innumerevoli relitti del gergo dei devjanostye, gli anni ’90 delle privatizzazioni selvagge e degli omicidi su commissione, l’epoca in cui, richiamando alla mente le parole di Boris Groys, una Russia allo sbaraglio allarmava l’Occidente alla maniera di un inquietante subconscio («scrivo nella lingua della metà degli anni ’90. Perciò tutti certo capiscono di cosa trattano i miei versi, ma oggi nessuno parla più così», ha ammesso Rodionov in un’intervista: la generazione a cui il poeta appartiene venne segnata proprio da quel decennio); o, ancora, di espressioni aggressive del mat, il turpiloquio-tabù russo, certo ben compatibili con una realtà brutale, trasposta su carta senza edulcorazioni. Ma, allo stesso tempo, non mancano passaggi scritti nella lingua poetica della lunga e gloriosa tradizione russa, insinuati nella pagina come in un complesso rebus intertestuale. La rielaborazione, in chiave ironica e talvolta grottesca, di svariati strati linguistici e referenti letterari agli antipodi tra loro, al di là di essere una colonna portante dell’era postmoderna, ricorda in realtà anche la soc-art (irriverente contrazione di socialističeskij realizm e pop-art), un altro frutto della cultura sovietica non-ufficiale degli anni ’70-’80. Parole d’ordine ed icone della mitologia sovietica venivano riproposte, in poesia come in arte, parodiate e contaminate da soggetti giocosi, surreali o osceni: se ne frangevano così i cliché e i tabù, creando un innesto del tutto nuovo. Un buon esempio dei multiformi referenti stilistici di Rodionov è costituito dal metro impiegato in quasi tutti i testi: un akcentnyj stich (verso la cui unica regolarità è costituita dal numero fisso degli accenti e risulta rafforzata dalla presenza della rima, seppure spesso imperfetta o realizzata in semplice assonanza) di lunghezza sillabica varia. Se da un lato era stato il verso principe dei poeti futuristi, in primo luogo di Vladimir Majakovskij, tra gli anni ’10 e ’20 del Novecento, dall’altro ricorda la cadenza di certi rapper russi dall’ispirazione engagée, o le canzoni punk-rock serpeggianti nella controcultura degli anni della perestrojka, che peraltro Rodionov, in origine leader di un complesso musicale, apprezzava molto. Queste somiglianze si riflettono anche nel declamato di Rodionov, che assomma infatti nelle sue letture il pathos oratorio di Majakovskij e il ritmo concitato del rap metropolitano. E questa commistione ha un effetto ipnotico sul pubblico che agli albori degli anni 2000 ha iniziato ad applaudire le sue performances, sede più congeniale per estrinsecare quanto, a detta dello stesso autore «in linea di principio è stato originariamente scritto per essere scandito ad alta voce, quando è presente anche una creazione sonora. Insomma – e questo è un punto importante! – scrivo con lo scopo di leggere per il pubblico e in pubblico», ha aggiunto Rodionov in un’intervista. La cura per la forma e l’abbondanza di sottotesti cui si è fatto precedentemente cenno – e se ne potrebbero estrapolare molti altri – ci ricordano che quanto leggiamo, al di là del realismo allucinante dei soggetti, è filtrato da un’intensa elaborazione artistica. Il risultato è un nuovo moskovskij mif (‘mito moscovita’) – Il’ja Kukulin ha paragonato Rodionov ai letopiscy, gli autori delle ‘cronache’ medievali russe, per non parlare del fatto che durante le serate poetiche, con il suo sguardo carismatico e assente insieme, l’autore di Balocchi da sobborgo sembra acquisire delle fattezze da ‘folle in Cristo’, da jurodivyj –, la creazione di un’epopea antieroica capace di catturare lo spirito più vero di un tempo e di un luogo e allo stesso tempo di trasfigurarlo, ora in chiave tragica, ora grottesca, in una continua altalena di sincerità e finzione, lirismo e farsa. Questo è forse il motivo per cui, come è stato scritto in una recensione, «Rodionov fa ridere e commuove allo stesso tempo» (N. Kurčatova). E, riprendendo la riflessione posta in epigrafe, ci fa anche «sentire in qualche modo a disagio». Nota biograficaAndrej Viktorovič Rodionov nasce il 9 gennaio 1971 a Mytišči, città satellite a nord-est di Mosca. Si diploma all’Istituto Poligrafico e nel frattempo inizia a esibirsi suonando il basso nel gruppo punk-rock Brat’ja-koroli (I re fratelli), oltre a cimentarsi nel repertorio rap, da solo o insieme ai suoi accoliti del Nezavisimyj profsojuz Yeltsin-trip (la Lega indipendente Yeltsin-trip). Alla seconda metà degli anni ’90 risale il suo debutto come poeta e performer tra le pareti del circuito metropolitano. Nel 2002 è vincitore della quarta edizione del Russkij slem (Slam russo), un successo bissato appena un anno dopo, nel 2003. Da allora ha promosso e organizzato con regolarità serate e competizioni slam tra Mosca, Pietroburgo e Kiev. Tra le iniziative realizzate nella capitale basti ricordare le numerosissime letture nei locali di riferimento per le performances poetiche e musicali, il Proekt OGI e il Café Bilingua. Nel 2005 è finalista al concorso Andrej Belyj e nel 2006 è insignito del premio Triunf. Ha pubblicato su diverse riviste e almanacchi (Novyj Mir, Oktjabr’, Arion, Vavilon e Avtornik). Dal 2003 ad oggi, inoltre, ha stampato sette raccolte. La poesia di Rodionov ha ottenuto il plauso di una critica che non di rado lo ha annoverato tra gli artisti più brillanti degli anni 2000, definendolo addirittura un nuovo Majakovskij per il linguaggio a tinte forti e il piglio energico delle letture. Si concorda però nel riconoscere i limiti, nel suo caso, di una dimensione unicamente testuale: motivo per cui alcuni dei volumi sono stati venduti con un cd in allegato. Sia nelle incisioni discografiche che nelle esecuzioni dal vivo Rodionov si è avvalso della collaborazione di complessi musicali come il duo elettronico Ëločnye igruški (Addobbi natalizi) e il gruppo rock Okraina (Sobborgo). Membro dal 2002 al 2005 della ‘confraternita’ artistica Osumas šedševšie bezumcy (i Folli dissenatisi) e responsabile della rassegna di video-poesia Pjataja noga (La quinta gamba), nel 2008 entra a far parte anche del neonato Club poetico di Mosca (Moskovskij poetičeskij klub), che con il patrocinio della Stella Art Foundation promuove il confronto tra diverse forme espressive all’insegna di una ‘lingua mutuamente comprensibile’ tra poesia, musica e arti figurative. Nell’estate 2009 Rodionov e altri poeti del Club hanno proposto una loro installazione alla 63° Biennale di Venezia, Making words. Sotto gli alberi dei Giardini dell’Arsenale ha trovato spazio un composito palcoscenico che ha visto alternarsi poeti russi, greci, austriaci e italiani insieme ad artisti intenti a schizzare i propri disegni parallelamente alla lettura dei testi. Se non sta seguendo le tappe delle sue tournées, che oltre a diverse città russe e ucraine hanno compreso anche Londra e gli Stati Uniti, Andrej Rodionov dirige attualmente il laboratorio di coloratura tessuti al teatro musicale Stanislavskij e Nemirovič- Dančenko di Mosca. Bibliografia di riferimentoA. Rodionov, Dobro požalovat’ v Moskvu, Sankt-Peterburg, Krasnyj Matros, 2003. Master cveta, Matiss krasilki. Intervi’ju s Andreem Rodionovym, a cura di Aleksandr Vosnesenskij, 8. 08. 2005, consultabile all’URL www.ultraculture.ru/rodionov-interview. Intervista di Anatolij Ul’janov ad Andrej Rodionov, in Šo, n. 5, Tre poesie da Balocchi da sobborgo(Traduzione di Francesca Lazzarin1)
Note1 Ringrazio Alessandro Metlica per i preziosi suggerimenti stilistici durante la stesura di queste traduzioni.▴2 Si allude a un passatempo dei bambini d’altri tempi, che amavano catturare piccoli scarabei e tenerli nelle caratteristiche scatole di fiammiferi colorate degli anni sovietici. Attualmente, come altrove, sono diffuse piccole scatole portafortuna con scarabei di legno al loro interno.▴ 3 Ci si riferisce alla prassi di cedere un appartamento di proprietà in centro in cambio di appartamenti più piccoli nei nuovi complessi edilizi della regione moscovita. Vengono convinte a trasferirsi soprattutto persone anziane.▴ 4 Strade nel centro a Mosca, vicine ad arterie pulsanti come la via Tverskaja e la via Petrovka.▴ 5 Località della regione moscovita.▴ 6 Acqua minerale molto diffusa in Russia, spesso insaporita con gusti di frutta, mela nella fattispecie.▴ 7 Marca di sigarette.▴ 8 Nella versione originale si gioca con il nome sulle insegne dei chioschi di polli allo spiedo: kury-gril’, ‘polli alla griglia’.▴ 9 Nei campi gioco di Mosca si incontrano spesso giostre a forma di coccodrillo.▴ 10 Quartieri della periferia nord di Mosca.▴ ¬ top of page |
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