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IN SEMICERCHIO, RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXV (2021/2) pp. 74-78

SARA SVOLACCHIA, Il “lavoro” del testo. Tel Quel  e la rivoluzione del linguaggio (scarica il pdf)


«Non esiste un solo scrittore d’avanguardia che non sia interamente coinvolto nella rivoluzione cinese. Si tratta di una rivoluzione del linguaggio, pratica nuova, attuale», affermava nel 1971 Philippe Sollers facendosi portavoce del comitato di redazione della rivista «Tel Quel» attorno a cui ruotava l’omonimo movimento.
Attraverso tale dichiarazione il gruppo prendeva definitivamente le distanze dal Partito Comunista francese, da tempo accusato di essersi piegato ad una linea «dogmatico-revisionista». In tal senso, l’adesione al maoismo veniva percepita come l’unica possibile espressione di un «marxismo rigoroso», autentica prosecuzione del pensiero leninista: là dove la sinistra cercava la conciliazione e l’omologazione delle differenze di classe, la logica maoista dell’«uno si divide in due» presupponeva invece l’opposizione tra contrari, «la scissione di tutto ciò che è statico per coglierne il movimento interno, materiale, dialettico, la lotta di classe nel suo momento di affrontamento antagonistico rivoluzionario».
Parallelamente, la Cina simboleggiava la possibilità che si compisse anche in Francia l’attesa rivoluzione culturale con cui, sulla scia dell’immagine propagandistica di Mao come statista e poeta, si instaurasse un modello nuovo in cui teoria (letteraria) e pratica (politica) potessero andare di pari passo . La specificità della posizione politica di Tel Quel risiede infatti proprio nel presupposto secondo cui «la rivoluzione del linguaggio e la rivoluzione in azione» sono indissociabili: da ciò deriva l’adesione ad un marxismo sui generis che si pone come una singolare combinazione di «materialismo, strutturalismo, lacanismo».
Nel proclamare il maoismo come solo marxismo ortodosso, Tel Quel rompeva anche la longeva alleanza con Louis Althusser, il principale divulgatore delle teorie marxiste in Francia. Tale frattura, sostanzialmente misurabile sul terreno dell’influenza della psicanalisi sul materialismo, dà la percezione di come il gruppo avesse sviluppato le problematiche riflessioni intorno al nodo materialismo-maoismo e psicanalisi. Come è noto, il marxismo caldeggiato da Althusser era caratterizzato dall’intenzione di allontanare Marx dalle letture idealiste portate avanti negli anni Sessanta dalla sinistra francese. Riducendo la portata che gli scritti hegeliani avevano avuto sul giovane Marx, la lettura althusseriana introduceva l’idea di una «rottura epistemologica»8 tra una concezione ancora idealista anteriore al 1845 e la successiva formulazione della nozione di materialismo dialettico in cui la storia veniva a porsi come «processo senza soggetto».
Pur riconoscendo la necessità di liberare il marxismo-leninismo dalla lettura idealizzante legata all’hegelismo, Tel Quel giudicava le speculazioni di Althusser incomplete nella misura in cui esse non tenevano sufficientemente conto delle fondamentali scoperte freudiane e della nuova centralità rivestita dal soggetto: nonostante Althusser avesse mutuato dalla psicanalisi il concetto di «sovradeterminazione» (utilizzato per definire la pluralità di contraddizioni che si affiancano a quella principale, alla base di ogni società capitalista, tra forze produttive e sovrastrutture), Sollers accusava l’antico maestro di aver creduto che tali contraddizioni potessero essere risolte secondo il principio del «due che si uniscono in uno». Tale fraintendimento, che secondo Tel Quel conduceva all’annullamento del fondamento stesso della dialettica, era dovuto al fatto che Althusser avesse preso in considerazione unicamente il Freud della Traumdeutung, in cui il dualismo tra pulsione di piacere e pulsione di morte non era stato ancora sviluppato e in cui il sogno veniva visto come il luogo in cui le contraddizioni potevano essere sintetizzate attraverso i processi di spostamento e condensazione.
La critica mossa da Tel Quel ad Althusser è dunque di non aver tenuto conto del soggetto come istanza psichica dominata dalla contraddizione e di aver ceduto così alla tentazione monista, abbracciando un marxismo «pietrificato» in cui vi è posto unicamente per l’influenza che le strutture hanno sulle sovrastrutture ma non su quella che, di rimando, le sovrastrutture potrebbero avere sulle strutture; influenza che, secondo Sollers, è invece proprio ciò che distingue il materialismo dialettico da quello meccanicistico. In altri termini, la lettura che Althusser aveva fatto di Marx sembrava ammettere unicamente l’esistenza di un soggetto sociale, influenzato dal solo mondo esterno.
Nell’ottica telqueliana il soggetto, secondo la definizione che ne dà Julia Kristeva, diviene invece «in processo»: esso si distingue da quello del materialismo meccanicista, «unario» e «tetico» per la possibilità di trasformare la realtà mediante la pratica (nel caso specifico, la militanza politica). A differenza del ‘processo senza soggetto’, l’appellativo di ‘soggetto in processo’ rispecchia la natura stessa dell’inconscio nell’accezione psicanalitica, «terreno della pura contraddizione» in cui coesistono pulsioni opposte. Il riferimento a Lacan appare in questo contesto determinante: se è vero che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, il soggetto ne diventa parte costitutiva essenziale. Come annunciato dal saggio lacaniano Du sujet enfin en question, il soggetto viene però liberato dai pregiudizi della filosofia idealista e collocato in una prospettiva scientifica: nei termini di Lacan, «il soggetto sul quale si opera in psicanalisi non può essere altro che il soggetto della scienza», il che equivale a ribadire la necessità di «ripulire il soggetto dal soggettivo».
Un punto su cui Tel Quel insiste a più riprese è che tale centralità conferita al soggetto non avrebbe potuto trovare spazio in un momento storico in cui non avesse avuto luogo la cruciale convergenza tra post-hegelismo, marxismo e psicanalisi. Se è vero, come affermato da Kristeva, che a ogni tentativo di codificare la grammatica corrisponde una diversa visione ontologica, è proprio nella fenomenologia hegeliana che va individuata una rivoluzione copernicana che ruota attorno alla coppia soggetto/predicato. Per la tradizione medievale, infatti, l’unità che caratterizza la Trinità (in cui il Figlio e lo Spirito Santo sono emanazione e medesima sostanza del Padre) trovava un perfetto corrispettivo nella lingua: secondo la formulazione di Duns Scoto, il centro di tutto è il verbo, l’essere è la verità. Se tutto discende dall’Uno, non esiste niente che sia ontologicamente diverso da quest’ultimo, eterogeneo. Il sottile ma importante passaggio che ha luogo è quello dalla materia (eterogenea, l’Altro) all’oggetto (identificato come tale dal processo intellettivo). Il soggetto appare completamente escluso dall’analisi grammaticale e il verbo si pone come solo elemento di giuntura della costruzione frastica. All’opposto si colloca la Grammaire générale et raisonnée di Port-Royal che muove da basi cartesiane: chi pensa l’oggetto non è il verbo, ma il soggetto. Il verbo non è altro che una copula, estensione del vero luogo generativo dell’affermazione, l’Io. In questa ottica, ogni atto comunicativo è inteso come affermativo in quanto il soggetto non è mai messo in discussione, né analizzato. Sarà necessaria l’introduzione, da parte degli Enciclopedisti (Du Marsais e Beauzée in particolare), della nozione di ‘complemento’ affinché si inizi a pensare alla lingua attraverso un approccio sintattico che metta in relazione tra loro i diversi costituenti della frase. Anche in questo caso – in cui, pure, si assiste alla cancellazione dell’antico rapporto di subordinazione tra verbo e soggetto – a mancare è una giusta considerazione della materia, ancora ridotta a elemento esterno che completa (complementum) un tutto (ossia la coppia soggetto/verbo).
L’inclusione della materia all’interno del discorso logico – e ontologico – avviene soltanto con la Scienza della logica hegeliana in cui è postulato un rapporto di contraddizione tra soggetto e predicato che rende la loro relazione dinamica e interscambiabile. Tale relazione, non pensabile al di fuori di un’analisi di tipo sintattico, presuppone un momento negativo che generi la dialettica tra soggetto e predicato: lo spazio in cui ha luogo la possibile interazione tra i due componenti è, secondo Kristeva, eterogeneo e, quindi, garante non più di un oggetto assimilabile all’Uno, ma della presenza della materia.
È in questo quadro epistemologico che la sfera della langue incontra il materialismo dialettico nell’accezione telqueliana: è infatti nella lingua che «appare costantemente l’intersezione dell’ambito storico, sociale, soggettivo» e che «si gioca la dialettica tra ideologia e linguaggio». Tra le varie pratiche linguistiche, è la poesia, nel senso jakobsoniano del termine comprendente tanto i versi quanto la prosa, quella che meglio esplicita la contraddizione dialettica, facendone «la legge del suo funzionamento». Ciò è possibile mediante un’interazione dinamica tra significato (assimilato da Tel Quel al valore di scambio) e il significante (valore d’uso), là dove quest’ultimo assume maggiore importanza rispetto agli atti comunicativi incentrati su una funzione referenziale e fondati sulla «trasparenza negoziabile del senso»24. L’intento di Tel Quel è, al contrario, di operare un progressivo smantellamento «della fissità del riferimento di un elemento significante al suo significato obbligato» al fine di riabilitare il ruolo primigenio del significante.
Al tempo stesso, la contraddizione interessa anche il piano logico: a differenza delle pratiche linguistiche ordinarie, la parola poetica non è, di per sé, né vera né falsa. Il problema della verità dell’enunciato non è nemmeno preso in considerazione e la sfera a cui il verso poetico appartiene sfugge alla logica ordinaria, dato che «il significato poetico rinvia e, al tempo stesso, non rinvia a un referente». Il linguaggio poetico è pertanto quello maggiormente incline a trasgredire le leggi sintattiche poiché in esso i morfemi non obbediscono alla legge che regola la comunicazione standard, non poetica, ossia alla «legge della commutatività» che, postulando la linearità del discorso, ammette la possibilità dello spostamento delle sue componenti là dove ciò non comporti un cambiamento di senso. Viceversa, nella scrittura poetica «l’enunciato è leggibile in una totalità significante solo come una spazializzazione delle unità significanti» in cui dunque la linearità del discorso viene messa in discussione, se non propriamente distrutta. In tal senso, lo spazio in cui si colloca la scrittura poetica diviene, secondo una definizione di Michail Bachtin successivamente ripresa da Kristeva, quello del carnevale, inteso come luogo della contraddizione, del discorso dialogico, dove coesistono «l’alto e il basso, la nascita e l’agonia, il cibo e l’escremento, la lode e l’insulto, il riso e le lacrime».
La scrittura poetica è dunque la sola a trasformarsi da atto incoativo a lavoro sulla lingua. In quanto pratica produttiva incentrata sul valore d’uso, essa necessita di operare in controtendenza rispetto alla logica capitalistica che mira a cancellare la traccia del lavoro degli operai o, nei termini di Debord, ad attuare una «divisione generalizzata del lavoratore e del suo prodotto» che conduce all’«astrazione di ogni lavoro particolare e all’astrazione generale della produzione d’insieme». Il libro finito non deve più dare l’«illusione del naturale» o porsi come semplice «oggetto di consumazione nel quale il senso si dà, si trasmette, si esaurisce». Viceversa, per Tel Quel la scrittura è chiamata ad esibire i propri i mezzi, il processo, la trace, ossia la manifestazione di quella différance che dovrebbe portare al superamento della letteratura volta al puro consumo di concetti e già definita da Robbe-Grillet come «tirannia delle significazioni». Come sintetizzato da Jean-Joseph Goux in una rilettura in chiave derridiana di Marx, è proprio il lavoro a generare la différance in quanto esso «differisce “la consumazione dei prodotti come mezzo di godimento” per “consumarli come mezzi di funzionamento del lavoro”».
Sfuggire all’imperativo referenziale è dunque possibile là dove la scrittura abbracci quel livello della lingua che le altre funzioni comunicative tendono a rimuovere, ossia il presimbolico. Come indicato da Kristeva, infatti, il linguaggio è costituito da due diverse modalità che si generano a partire da un’ottica che, nuovamente, è di tipo dialettico e materialista: da un lato, quella simbolica, associata alla significazione, al segno, al rapporto simmetrico tra la triade referente-significato-significante; dall’altro, appunto, quella presimbolica, o semiotica, anteriore alla precedente e costituita dal ritmo, dalle pulsioni, dell’«eterogeneità del senso» messa in moto da suoni ancora estranei alla significazione (come, a un livello radicale, le glossolalie di Artaud) e riconducibili ai vagiti dei neonati che precedono la produzione dei primi fonemi. 
L’esplorazione di tale componente presimbolica si ritrova anche in Freud attraverso l’idea del sogno come processo («lavoro del sogno»). Mettendo l’accento sul processo che conferisce un senso, e non più sul senso stesso, Freud aveva aperto «la problematica del lavoro come sistema semiotico particolare» distinto, proprio come quello poetico, dalla logica della parola come valore di scambio. «Elaborazione del ‘pensare’ prima del pensiero», il lavoro del sogno reca in sé, ante litteram, la différance derridiana così come avviene, nell’ottica telqueliana, con la scrittura stessa. Tale aspetto sarà poi ripreso e sviluppato da Lacan, che troverà nel significante proprio un anticipatore del senso nello stesso modo in cui funzionano la scrittura geroglifica o quella a base di ideogrammi.
Il linguaggio poetico telqueliano raccoglie dunque queste istanze, facendo della componente presimbolica il suo punto di forza e sottraendosi all’imperativo della significazione a cui è subordinata l’entrata nel «mondo dei padri», dominato dalla morale tradizionale e dai codici della legge civile. Se lo spazio entro cui la poesia si muove è quello pulsionale e materno del presimbolico, esso può essere definito come una chora in senso platonico «anteriore all’Uno, materna […] ritmo, prosodia, gioco di parole, non-senso del senso, riso».
È precisamente in virtù dell’esplorazione di tale componente negativa (nel senso di antitesi rispetto al momento tetico costituito dal simbolico), eterogenea rispetto al senso, che la letteratura si fa, secondo la formulazione di Sollers, «esperienza dei limiti». Da qui, il trinomio telqueliano, fondamento di ogni avanguardia intesa come «produzione rivoluzionaria» e rimasto intatto, malgrado la presa di distanza dal maoismo, fino agli ultimi anni di attività del movimento: «lotta di classe, soggetto, lingua». 


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