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Musa medievale. Saggi su temi della poesia di Venanzio Fortunato 

a cura di Donatella Manzoli, Viella, Roma, 2016. pp. 204, € 21,25.

 

 

Di Matteo Saracini 

 

In: Semicerchio LVIII-LIX (01-02/2018), pp. 135-136.

 

 

Inserendosi con rilievo nella vasta ma non immensa bibliografia su Venanzio Fortunato, il lavoro costituisce il risultato finale della partecipazione di un gruppo di studiosi di area romana al progetto Memoria poetica e poesia della memoria. Ricorrenze lessicali e tematiche nella versificazione epigrafica e nel sistema letterario (PRIN 2010-2011), che ha visto la sezione mediolatina della Sapienza Università di Roma impegnata sulla schedatura degli XI libri di Carmina venanziani. Il lavoro di schedatura si è concluso con un seminario dal titolo Venanzio Fortunato musa medievale, tenutosi nella medesima università di Roma il 15 Giugno 2015; successivamente gli interventi sono stati rielaborati fino a costituire questa raccolta di saggi. Che Venanzio Fortunato con la raffinatezza dei suoi carmi di occasione o delle sue agiografie, si fosse eretto fin dai primi decenni del VII secolo e poi per tutto il Medioevo, a modello per gli autori che si sarebbero cimentati con l’arte del versificare, non è una novità se si pensa a studi come Venanzio Fortunato nella poesia mediolatina, di Francesco Stella; eppure questi giovani studiosi, indirizzati e accompagnati dalla curatrice Donatella Manzoli, hanno saputo cogliere nuovi spunti di riflessione.

Una delle tipicità della produzione poetica di Fortunato, ben chiara a quei pochi, ma non pochissimi, frequentatori della sua poesia, è la varietà tematica e stilistica che la contraddistingue. Si tratta di un bisogno quasi camaleontico di adattarsi a contenuti differenti o di indirizzarsi ad un pubblico disomogeneo come quello della Gallia ex provincia Romana, ancora potente cassa di risonanza dei versi della poesia latina più erudita (si pensi a Sidonio Apollinare), ma anche nuova patria per il rozzo popolo dei merovingi. Nel periodo in cui i regni barbarici tentano di colmare il vuoto smisurato lascia-o da Roma, facendo proprie la nomenclatura delle cariche pubbliche tardoantiche e molte delle leggi imperiali, il poeta italico è costretto a intraprendere la strada della referenzialità, ossia quell’aderenza comunicativa al contesto che Roman Jacobson a metà Novecento individuerà come una delle componenti imprescindibili della struttura del linguaggio. La ricchezza dei temi, e forse lo stile di un latino ricercato ma anche sintatticamente semplice, sono il mezzo con il quale Fortunato spera di compiacere i propri uditori, o almeno di ottenerne il plauso.

Nel primo dei contributi (Venanzio musa medievale pp. 15-38), Donatella Manzoli guida il lettore, con completezza di informazioni, alla scoperta di questo mondo venanziano. Inizialmente sono esposte le utili precisazioni biografiche, successiva- mente l’analisi del suo stile retorico e po- etico. La studiosa correda il lavoro di una bibliografia ragionata per temi che costituisce una assoluta novità in questo campo.

La complessa struttura del libro VII dei Carmina è indagata da Emanuele Riccardo D’Amanti (Iustitia ed eloquentia dei dignitari laici della corte austrasiana nel VII libro dei Carmina di Venanzio Fortunato pp. 39-58). Se da una parte lo studioso fa risaltare lo scopo del poeta di Valdobbiadene, che con i carmi di questo libro si assicura favori e protezione presso i dignitari della corte d’Austrasia, dall’altro non si limita a una analisi stilistica, che pure è ben elaborata e divisa per temi, ma cerca di individuare la logica ispiratrice di Fortunato: l’impegno del poeta in ogni componimento è in rapporto alla potenza del destinatario. Degna di nota risulta la Postilla finale, nella quale è felicemente avanzata una plausibile congettura per VII, 12, 87.

Elena di Bonaventura (Munus e munificenza nei carmi di Venanzio Fortunato: doni e obblighi di un Italus in terra di Francia pp. 59-79) affronta la tematica del dono in Venanzio avvalendosi di studi antropologici e filosofici, rivelando la varietà di espressione di un tema tipicamente fortunaziano.

Benché la produzione poetica di intrattenimento risulti oggi la più conosciuta, di Fortunato non va tralasciato l’importante ruolo di agiografo e Mariangela Lanza (Due dossier agiografici nei Carmina di Venanzio Fortunato: san Martino e san Germano pp. 81-106), ha esplorato all’interno della produzione dei carmina proprio le interessanti interazioni con la agiografia, in particolare con le vite di Martino e Germano. La ricognizione della Lanza mira a ricostruire il sentiero agiografico presente nei carmi e, per questa ragione, la studiosa effettua un accorto confronto sia dal punto di vista tematico, sia da quello storico con le vitae agiografiche.

Nella raccolta dei carmina il tema elegiaco si intreccia, inevitabilmente, con quello della dulcedo, considerata una delle massime peculiarità venanziane. A riguardo Martina Pavoni (Un nuovo ideale di donna. La dulcedo da Venanzio ai poeti della Loira pp. 107-25) illustra con chiarezza metodologica le posizioni degli studio- si che sono a volte molto contrastanti tra loro: l’amore venanziano è un preludio a quello che avrebbero cantato i poeti trobadorici? O si tratta di un sentimento, esautorato dell’eros elegiaco classico e mosso più dall’amicizia e dall’ossequio? La studiosa individua sagacemente i confini della diatriba e sposta l’attenzione su un ulteriore aspetto: la reale affinità o differenza tra la figura della donna in Venanzio e nei cosiddetti poeti della Loira del XII secolo.

A conclusione del volume, Francesca Tarquinio («Omnes una manet sors inreparabilis horae»: il tema della morte nella poesia di Venanzio Fortunato, pp. 126- 166), prende in esame il «tema dei temi», così icasticamente definito, ossia quello della morte. Dopo aver chiarito lo stato dell’arte per gli studi medievali inerenti all’argomento, che in fondo non è così ampiamente affrontato, la Tarquinio, con spiccata sensibilità, passa in rassegna i diversi aspetti della morte nella poesia di Fortunato. A corredare il saggio sono inserite tre preziose appendici: la prima illustra le fonti venanziane sul tema, la seconda sulla fortuna di Venanzio nei successivi autori e infine la terza è un vero dizionario del lessico della morte nei carmina. Chiudono utilmente il volume la bibliografia e l’indice di nomi e luoghi.

(Matteo Saracini)


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