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STEFANO LAZZARIN, PIERLUIGI PELLINI, Il vero inverosimile e il fantastico verosimile. Tradizione aristotelica e modernità nelle poetiche dell’Ottocento, introduzione di Simona Micali, Roma, Editoriale Artemide 2021, pp. 152, € 25,00. 000

(pp. 126-127).

 

Nella sua struttura bipartita, “duale” - come la definisce Micali nell’introduzione (p. 7) -, il libro di Lazzarin e Pellini trova la propria ed efficace chiave per ricostruire la storia ottocentesca di una categoria millenaria, quella di verosimiglianza. Sebbene già nel corso del Settecento il vincolo ai precetti del verosimile classico cominci a dar segni di cedimento, il magistero aristotelico continua a rappresentare anche in seguito, almeno fino alle soglie del XX secolo, un riferimento ineludibile per le nuove estetiche. La tradizione classica esercita ancora un largo influsso sulla letteratura dell’Ottocento, e gli autori dei due saggi accostati in questo volume scelgono di indagarne la persistenza focalizzando la propria attenzione su due generi narrativi – il romanzo realista e il racconto fantastico – nei quali la dialettica tra universalità ed eccezionalità, tra verosimile e vero riveste un ruolo fondamentale. Nella prima parte del libro, Pellini conduce il lettore in un affascinante percorso attraverso le teorie della rappresentazione dal classicismo al modernismo che si svolge tra due estremi simbolici: da una parte l’Art Poétique di Boileau, dalle cui pagine echeggia un’irrevocabile condanna del vero inverosimile, dall’altra l’«Avvertenza sugli scrupoli della fantasia» posposta da Pirandello all’edizione Bemporad del 1921 del Fu Mattia Pascal, dove l’autore rivendica per l’arte la totale emancipazione dall’imperativo categorico della verosimiglianza. Tra questi due poli opposti, lo studioso ci guida attraverso una zona intermedia occupata da alcuni dei maggiori autori della tradizione realista ottocentesca (Balzac, Flaubert, Maupassant e Zola), in cui «il rapporto fra individuale e universale, fra norma e eccezione, fra tipico e strano, fra logica del racconto e assurdità del reale, rimane (in modi diversi) un problema irrisolto» (pp. 25-26). Soffermandosi sulle trasgressioni al dettame della verosimiglianza cui tali scrittori programmaticamente dichiarano di attenersi, e finemente analizzando quei casi nei quali - tra giustificazioni, dissimulazioni e formazioni di compromesso - l’eccezionalità, il fatto singolare, l’episodio inspiegabile, smarcandosi dal veto aristotelico, sono ammessi alla narrazione, ci rivela come, contro ogni pretesa schematizzatrice, il processo di affrancamento dell’arte dalla vocazione all’universalità si configuri come «tutt’altro che lineare, anzi lento, contraddittorio e molto graduale» (p. 59). Diverso il territorio esplorato invece da Lazzarin, il quale, nel suo saggio, per ripercorrere la storia dei rapporti tra la letteratura del soprannaturale e il principio aristotelico di verosimiglianza, si muove pioneristicamente lungo il sentiero ancora poco battuto, benché ricchissimo, delle teorie sul fantastico elaborate dagli stessi esponenti del genere. Alla base del percorso proposto, l’assunto che anche il racconto fantastico, al pari di quello realistico, è governato dalla logica del verosimile, un verosimile che però non riguarda tanto il piano del contenuto (la storia raccontata), quanto piuttosto quello formale (l’organizzazione narrativa). Se per definizione il genere racconta eventi che si pongono al di là della doxa del possibile, di quali mezzi servirsi per presentare al lettore tali accadimenti come credibili, così da suscitarne l’adesione? L’autore passa in rassegna i diversi modi in cui alcuni dei più grandi scrittori fantastici del XIX secolo hanno risposto a questo interrogativo. «Dalla mente lucida e raziocinante del poeta fantastico hoffmanniano alle ricette della cautela rappresentativa secondo Scott, dai piedi ben piantati sul terreno del reale di Gautier alla verosimiglianza sincronica, strana, perversa di Poe, dalle menzogne in numero dispari di Mérimée alla vivida intensità rappresentativa di Henry James, per arrivare fino al precetto della contemporaneità relativa di M.R. James» (p. 137), Lazzarin ricostruisce il repertorio degli espedienti attraverso i quali gli scrittori fantastici dell’Ottocento hanno permesso all’eterodosso di avere accesso al testo letterario conferendogli «i colori del vero, la patina seducente del verosimile » (p.86).

(Gloria Bonaguidi)


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