« indietro ANNELISA ALLEVA, Istinto e spettri, Milano, Jaca Book 2003, pp. 136, € 12,00.
Secondo le indicazioni cronologiche che accompagnano ognuna delle sette sezioni del libro, Annelisa Alleva dà alle stampe il frutto (ma nel frattempo altre sillogi, tra cui ricordiamo almeno L’oro ereditato, di due anni fa, hanno visto la luce) di un ventennio di lavoro: 1981- 2001; un arco di tempo che non pregiudica l’uniformità formale, linguistica e tonale, delle liriche accolte nel suo primo «libro organico e importante» (Mussapi). Tanta risulta anzi la coerenza di pronuncia da autorizzare l’ipotesi che le date si riferiscano piuttosto all’occasione poetica che all’effettiva composizione dei testi (in modo analogo era solito situare nel tempo i suoi versi Vittorio Sereni). Alla compattezza stilistica corrisponde una varietà di argomenti e situazioni che si irraggia da due nuclei ispirativi predominanti: l’amore e la maternità. Al primo sono dedicate in misura esclusiva le sezioni estreme, In vita e Dopo, e dall’archetipo petrarchesco il volume non si limita a desumere genericamente la foggia strutturale, ma richiama la concezione amorosa trascritta nei termini di esperienza totalizzante, che involge nella sua cifra l’intera vicenda esistenziale dell’innamorata. La stessa figura dell’amato, inafferrabile e chiusa in una sua ambigua inconoscibilità, promuove il ripiegamento diaristico, ragionativo, in un immaginario dialogo con l’assente, a momenti scosso da sussulti di intenerita effusione sentimentale. Nelle sezioni centrali del libro entra con prepotenza il tema della maternità. S’inizia con l’evento del parto, disegnato assecondando un’attitudine metaforica vicina ad un felice, attutito surrealismo: «Dal ventre scivolasti fuori / su rotaie amniotiche, / i capelli scuri intrisi di sangue, / la velocità accelerata dopo il tunnel, / palla dagli abissi [...] Dopo il varo del cordone reciso / arrivai a baciarti sulla fronte in singhiozzi». I figli, di cui si segue con apprensione e curiosità la crescita, sono fotografati nelle più disparate situazioni del quotidiano, forieri di un’emozione biologica che esalta le facoltà poetiche, la fioritura di immagini: «Più ti crescono i capelli, / più diventi antica. / A me brillano le tempie, / come le neve sotto i cespugli. / Più in me il rosso langue, / più il tuo rosa si fa sangue». Non è da escludere che tra queste poesie si possano riconoscere le prove più sicure e toccanti dell’intera raccolta. Ma anche le altre sezioni ospitano componimenti di valore, come Dai Brodskij, dieci strofe di dieci versi ciascuna, armonizzate su un efficace endecasillabo colloquiale, quasi in sordina, oppure alcune aperture sul dato paesaggistico, esempi di pura visibilità dove le immagini sono scandite in una serrata paratassi di colori puri: «L’oceano si lecca contro le rocce. / Il pelo brilla in contropelo. / Sciabordio d’oceano. / Steli d’acqua strappati. / Il cielo si sposta e rimane [...] La nuvola prende un po’ di nero / dall’asfalto e gli dà il suo argento», una tecnica basata sull’enumeratio che può ricordare l’estroso vitalismo govoniano oppure (l’autrice è studiosa di letterature slave), i momenti più quieti e svagati di Maiakovskij. Toccante, la poesia che segna, rispetto all’amante, una sorta di armistizio ancora imbevuto di trasporto, che giunge a una assoluzione resa più lacerante e grande dal fossato della morte: «La tua vendetta è impormi il perdono. / Quel tuo voler sempre avere l’ultima parola. / Il mio non poterti mettere al muro con gli uncini dei perché».
Paolo Maccari
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