« indietro ROBERTO MOSI, L’invasione degli storni, Firenze, Gazebo, 2012, pp. 44, s.i.p. Per ispirazione e struttura, la ‘trilogia’ di Mosi si presenta come una contemporanea rivisitazione della Commedia dantesca che ambisce ad un disegno universale e allo stesso tempo ad una marcata connotazione fiorentina. Un percorso ascensionale che, tripartito nelle sezioni Valle dell’Inferno, Via del Purgatorio, Nuovo Cinema Paradiso, dà vita a un affresco a forti immagini, giocato tra mimesi di luoghi reali, citazioni letterarie ed incontri con personaggi e simboli, nella ricreazione visiva/vissuta di un patrimonio acquisito e comune. È il viaggio di speranza e significato da parte di un uomo che osserva, registra e testimonia quella frattura conflittuale tra umanità ed ambiente che l’impegno poetico è chiamato a sanare, ma che il ‘maglio della Storia’ pare riconfermare ad ogni passo. Nella prima parte, la valle dell’Inferno, sorvegliata dalla vigile Cornacchia, altro non è che la postmoderna discarica del mondo, o come scrive Giuseppe Panella nella Prefazione «il non-luogo del consumo e della disarmonia»: l’immagine altrimenti positiva del passaggio degli uccelli migratori si riflette sul degrado della comunità speculatrice, in una paludosa congestione dalla quale tra i miasmi affiorano mostruose presenze alla coscienza, tra reale e virtuale, tradizione ed espressionismo; anche il ritmo sembra rallentare al peso di alcuni giudizi sulla storia recente. Si passa quindi all’atmosfera umbratile e alla più scarna precisione del linguaggio della parte centrale, ovvero il bianco inesorabile «Tempo dell’Attesa» scandito tra le squallide mura di un purgatoriale Reparto oncologico, nel quale l’unica linfa è la chemioterapia e il paziente è un provvisorio homo viator osservato in silenzio dal Ragno che tesse la tela degli umani destini. Poi la malattia sembra vinta e, sempre con la guida di Gabriella, novella Beatrice coronata di luce, si conclude l’ascesa salvifica: come sullo schermo di un Cinema scorrono in tripudio uno dopo l’altro fotogrammi luminosi e ‘trasfigurati’. E qui, nella fucina dove «Appare il senso, la forma, / il fuoco abbraccia la creta, / l’opera è pronta per brillare...», approda l’epilogo di un cammino pensoso ed umano che non rinuncia a stemperare i mortali vizi nelle immortali virtù dell’arte. Mentre anche le presenze naturali, gli uccelli, si fanno parte integrante della Commedia in una sintesi che ricompone a scrigno il cosmo di Mosi: «Nei nidi appesi alle gronde / riposano i racconti del mondo, / la testa sotto le ali». (Caterina Bigazzi) ¬ top of page |
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