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Ringraziamo Rosemary Liedl per la concessione del testo



Ora dal primo cerchio discendendo
entro nel secondo
che più stretto cinghia
e di tanto aumenta il dolore
che urlano e guaiscono le anime in tormento.
Qui sta Minosse e orribilmente regna
e ringhia, giudice supremo,
e le colpe inquisisce sull’ entrata,
e sentenzia e condanna
se stesso avvinghiando.
Quando l’anima passata alla sventura
dinnanzi a lui aperta si confessa
vede Minosse, conoscitore dei peccati,
qual luogo dell’inferno
per lei è preparato
e tante volte si cinge con la coda
quanti gradi in giù comanda che sia messa.
Sempre dinnanzi a lui vi stanno in massa
ma sola ciascuna si presenta al giudizio,
si confessa, ascolta
poi va al precipizio.


«O tu che vieni nel luogo del dolore»
dice Minosse a me quando mi scorge
e interrompe l’atto del giudizio,
«a come entri bada e attento
che non t’inganni la tua guida, non t’inganni
l’ampiezza dell’entrata!».
E la mia guida a lui: «Ma perchè gridi?
Non puoi impedire
il suo prescritto andare, così
si vuole dove si può
ciò che si vuole e più
non domandare».


Ora grida e lamenti ora i dolenti
mi si fanno sentire
ora l’onda del pianto mi percuote
dove son giunto.
Sono in un luogo d’ogni luce muto,
muggisce come un mare tempestoso
se da venti contrari è attraversato.
La bufera d’inferno non ha tregua
con eguale violenza gli spiriti travolge
voltando e percuotendo li castiga.
Come le anime ci arrivano davanti
alla bufera salgono le urla
le strida e i lamenti e qui
bestemmiano la potenza divina.
Capisco allora che a questo tormento
sono dannati i peccatori carnali,
nel desiderio sorpassan la ragione.
E come gli stornelli portati dalle ali
in schiera larga e piena
al principio dell’inverno
trascorrono nel cielo,
così quel soffio innalza
gli spiriti dannati
di qua, di là, di giù, di su li sferza,
non vi è speranza mai che li conforti
né di sostare né di patir meno.
E come gru volando in lunga riga
lamentano nel canto
così vedo arrivare in tristi voci
ombre portate dall’eterna bufera,
allora dico: «Maestro
chi sono questi che il vento
allinea in quella schiera?»
«La prima di cui chiedi» dice,
era regina di molti paesi,
tanto fu stretta alla lussuria
che il desiderio proclamò sua legge
e più nessuno poté biasimarla,
è Semiramide, sposa di Nino (e di questi erede)
e governò l’Egitto, come si legge.
L’altra è Didone suicida per amore
dimenticando il giuramento
di fedeltà a Sicheo, alle sue ceneri.
Ecco Cleopatra, preda
di libidini molteplici,
ecco Elena, radice
di tempi infami,
con lei è il grande Achille, con amore
incrociò le armi invincibili
e fu sconfitto».
Paride, Tristano e migliaia
migliaia le vittime d’amore
come indica e nomina.
Smarrimento profondo, e paura m’invade
ai nomi delle donne e i cavalieri
e chiedo: «Poeta, volentieri
parlerei ai due che vanno insieme
leggeri sopra il vento».
Lui mi risponde: «Attento
quando sono vicini chiedi
per quell’amore che li tiene e muove
così verranno».


Subito come il vento a noi li piega
io dico: «O anime in affanno
venite qui a parlarmi, se non c’è
Chi lo impedisca!»
Quali colombi da un richiamo accesi
di desiderio, ad ali tese verso il dolce nido
per volontà dirigono decisi,
escono i due dalla schiera di Didone,
contro l’aria maligna volano a sfida
tanto pieno d’affetto e forte io grido.
E Francesca mi parla e dice: «O vivente
grazioso e benigno
nella tenebra di vento che attraversi
incontri noi che il mondo tinto
abbiamo di color sanguigno,
se fosse amico il Re dell’Universo
lui pregare vorremmo, per la tua pace
poiché di noi pietà, del nostro male
ci stai mostrando.
Quello che vuoi sentire chiedi,
parla seguendo il desiderio,
noi ti ascoltiamo, ora che il vento
si è calmato e tace.


La terra dove sono nata
è in riva al mare dove il Po discende
con tutti gli affluenti e trova la sua pace.
Amore che persona gentile subito accende,
e così fu per Paolo della mia persona, bella
che mi fu tolta, violento divampò
e fu spento nel sangue
e il suo principio e la fulminea fine
ancor mi offendono, mi dannano.


Amore che costringe ad amare
chi sia per noi d’amore preso
piacere così forte di Paolo mi prese
che ancor non mi abbandona,
e tu lo vedi. Amore
a morte uniti ci ha guidati,
Caìna aspetta colui che ci spense».
Questo dice Francesca, unita a Paolo,
io chino il viso e lo tengo basso
fin che il poeta chiede: «Che pensi?»,
allora gli rispondo adagio: «Quali
dolci pensieri
che desiderio
spinse coloro a scendere l’abisso!»
Poi rivolto a Francesca: «Pieno
di lacrime per il tuo martirio
tristissimo ti prego, dimmi
quando il tempo è dei dolci sospiri
come permette Amore
che amore
a tal punto ci inganni?»
E lei a me: «Nessun dolore
più grande che ricordarsi del tempo felice
nella miseria,
e lo sa bene il tuo Virgilio,
ma se a conoscere
la prima radice del nostro amore
hai tanto desiderio e affetto
farò come chi insieme
parla e piange.
Noi si leggeva un giorno per delizia
di Lancillotto, come amor lo prese,
soli eravamo e senza sospetti.
Molte volte gli occhi ci costrinse
quella lettura
a volgerci negli occhi
e il viso scolorare,
ma un punto solo fu quello che vinse.
Di quella bocca il riso
quando leggemmo
esser baciato da sì grande amante, Paolo
che mai da me non sia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremando.
Quale strumento il libro,
e chi lo scrisse!
Quel giorno più non vi leggemmo
ancora».
Mentre Francesca parla e Paolo
piange di tanto sale la pietà
e il timore
ch’io vengo meno e cado
come corpo morto cade.


(finito il 14.8.1984)

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