« indietro MARCO GIOVENALE
Marco Giovenale è nato nel 1969 a Roma, dove vive. Si è laureato in Lettere con una tesi sulla poesia di Roberto Roversi. Collabora a «Private», «Sud», «Il Grandevetro». Fa parte del comitato di consulenza di Italianistica OnLine. Cura la pagina web Slow-forward e, con Massimo Sannelli, la lettera ‘aperta (a)periodica’ «bina». Suoi racconti, saggi e poesie sono apparsi su varie riviste e antologie. Ha pubblicato, insieme a Francesca Vitale, Curvature (con una nota di Giuliano Mesa, La Camera Verde, Roma 2002); Il segno meno. Parte di prosimetro (1998-2003), Piero Manni, Lecce, 2003); Altre ombre (con postfazione di Roberto Roversi, La Camera Verde, Roma 2004). Sempre nel 2004, per Biagio Cepollaro E-dizioni esce l’e-book Endoglosse (‘Venticinque picco li preludi, 1999-2000’).
da Shelter
Il mattino della sete è il primo giorno mariano, di pliche bianche dove come in solarizzazioni di un solo profilo, vetro della donna a lasciare solo calco negativo le vesti, i fotogrammi, si versano e scambiano, es luz – torce così, voce che si rileva pietrisco, dal nero del fondale. Continua a mancare una madre nella parte d’acqua della storia. Vero è che da un lato è l’ombra per prima a essere stata fonte per l’iridescenza
* * *
La luce di lutto del lenzuolo caldo
alle quattro della veglia striscia al giro grigio del palmo che sposta interruttore e sedia e cerca di arrivare a vista a seme o seno come i cretti sordi battuti dai legnetti costruiscono la reggia verde doppia, il reparto dei bambini, della morgue, aperta appena l’astanteria – i primi e gli ultimi che mutano posto – a un punto dall’alba –
pochi metri più giù bolle l’acqua le caldaie centralizzate, la chiave che non odora d’inchiostro ma dopo sporge come una cosa scritta addosso a quello che la mattina nelle corsie passa e riporta a chi è rimasto i nomi di chi invece è andato di sotto * * *
Non si libera dagli aghi, se ne veste.
Vive nell’ultima stanza – ogni volta sta varando il vascello con lo sguardo nella fontana fuori, dove la vorrebbero condurre ma non vuole, dai sette anni mentali e non mentali non si strecciano il colore cenere – la testa, gli occhi.
Non possono trovarla assiderata. Piuttosto a contare sul balcone, che sarebbe il margine alfa della storia, da dove la contesta e può ascoltarla; due fibbie alle scarpe slacciate, rientra sempre e cammina sempre scalza contro la parete. Lì sta bene. Lì – dice alla fine della casa – mi riconoscete * * * Gli hanno messo già il fiore del morto. Lo tengono nella scatola del gioco inox. Non reagisce, ha gli occhi chiusi dice il bambino che li mangia nel sogno. Parlano continuamente in italiano di nordest. La fatica schiaccia la testa ai passeri – avanza sul mazzo delle carte, dei figli dice che li barra, ma che saranno validi anche dopo ¬ top of page |
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