« indietro MARIA VETTORI Maria Vettori è nata nel 1940 a Tavarnelle Val di Pesa (Fi) dove vive. Laureata in Lettere all’Università di Firenze con una tesi in Storia medievale, ha insegnato materie letterarie nelle scuole medie e superiori. Nel 1994 ha pubblicato il libro di versi Imparerai con dolore. Nel 2004 tredici sue poesie sono state pubblicate nell’antologia poetica Pulvis, coperta materna (Edizioni Gazebo, Firenze).
TROMPE L’OEIL CON FINESTRA SUL BOSCO
Inverno di lingue biforcute e scie di bava. Sullo sfondo il fumacchio di un Un dicembre dall’alito cattivo che trattiene giallognole le foglie sui rami Di atarassia si muore. Le azalee cuciono al gelo l’abito di gala che indossano ad aprile per la festa.
II Disegna il fiato nuvole sul vetro. Le Tutto è compiuto. Il gelo finalmente ha fatto razzia delle gemme precoci dato alle Di luce falsa dietro la finestra della casa di fronte brilla un albero con le È l’attimo sacrale, il punto morto il III Tu sei una donna inutile. Buon anno. frizzano dentro i calici. Inutile perché non sei con me oltre ogni limite. Si gira la clessidra. Concentrato dentro la sabbia in alto l’anno ignoto. Il Per essere con me vuoi ch’io sia niente. In questo nostro tempo che ci sfugge non di una speranza se l’amore è questo. Se lo chiamo scodinzola il mio cane ma Primavera I Rondini. E la peluria verde tenero sui rami delle querce. La Passione secondo Marco. Al centro della tavola un vaso con olivo e tulipani. Nessuno coglie i simboli. A brandelli che da una quercia si contorce al vento. Sul muro vasi di gerani rossi messi anzitempo da chi ha sempre fretta Piantato a forza dove non voleva non ha coccole il piccolo cipresso e sull’esile punta c’è del secco.
II
Passi ancora per il giro di ronda Ricordi il patto? Chi se ne va prima... Chissà se è vero che lì dove sei La roba, babbo, non viene con noi si scopre dentro chi se la spartisce. III Lasciar l’odore di fragole rosse e al Sud sui greppi infiorati di Akrai incontrare l’acanto e la cicuta – balenio della mente eccitata sulla traccia di note allegorie presso l’ara sbrecciata di Cibele – Pozioni di cicuta ne ho bevute in un mazzo di timo e nepitella Estate I Non più scoiattoli qui dove le siepi Non più si aggira l’istrice di notte Senza paletti sono le alte cime e torna al nido l’upupa. Più in alto II Sature di grisou le tue parole emergono da un pozzo inesplorato e nell’attrito col mio rogo esplodono. Meglio il silenzio, magari di un vecchio il sogno assurdo che è stata la vita. Più fertile l’argilla del mio orto Tra le ginestre sotto il sole a picco III Lo sapresti se avessi una coscienza Ché se avessi lasciato nel crogiolo una vita da film avrei vissuto nell’eterna cucina americana con gossip rilassato e torte in forno. Mai ho taciuto per il quieto vivere Autunno I Una mattina apri la porta e senti i mucchietti di cacca sotto i nidi con gli occhi asciutti il bilancio dei danni. Gerani con le foglie accartocciate e cipolle abortite sotto terra. Ma in un angolo è salvo un campionario II È sabbia di deserto che pioviggina In piena vista nella luce strana pomi sgargianti sulle rame nere ostie arancioni che portano Dio – secondo il nome – o di Lui la speranza. Ricordo chi coglieva ancora acerbi Povera gente con un nome ricco. di trovar vuoto l’albero dei cachi.
III Come la ghiaccia il fogliame caduco finché sotto il pistillo, in una bolla Culla del Tutto o talamo del Nulla senza gli stami più della speranza Ma come ora la vista sfonda il bosco e coglie aspetti invisibili prima così, scevro di maschere, lo spirito capta i semi per nuove infiorescenze.
E ancora inverno I Nel brutale frullio di foglie secche si è scoperta la gabbia arabescata tipo quelle che s’usano in paesi che di gabbie per donne se ne intendono. Un cilindro di riccioli con cupola come di una moschea che l’usignolo Non seguire le mie orme, ragazza che passi sul sentiero con tuo figlio dal camino che fuma. Esci dal bosco. II Neve. Incollata stanotte dal gelo ai rami più sottili, ai fili d’erba alle foglie d’olivo, a ciascun ago di ciascuna ginestra, ad ogni frasca. E all’alba lo spettacolo è mirabile. Tutto fasciato come da gomitoli di bava bianca, ché la principessa possa riavere il suo mondo di ghiaccio. Nel tenue grigio-rosa per un attimo Chiòccolano le gocce giù dal ramo III Chiesa tirata a lucido. Nei vasi mazzi di pungitopo. La Passione sui muri in porcellane biancazzurre.
«Ho cercato il Signore e mi ha risposto legge un cristiano triste. Ritornellano
Aggiusto il salmo e tra me lo scandisco: Un ramo dicembrino da una bifora e primavera I Corpi di adolescenti allampanate Nei vu delle forcelle le matasse Anche la casa è vuota, nell’esatto Urge smagarsi e bruciare i feticci. coi nidi pieni e le foglie sui rami.
II
«Questo è il corpo di Cristo. Così sia» con la lingua facevo acrobazie. Lo mastico dicendo: «Che il tuo corpo Strappo e ricucio. Non so se è il Nascosto Dèi non ne vedo in giro, ma quel gesto III Con due gambe di struzzo e i seni acerbi occhi a gatta con lampi di sottecchi. Ma il corpo era materno, con la testa occhi celesti in apparenza dolci. Ma il programma s’inceppa, con le cellule Via dalla gabbia, sì. Corpo materno ¬ top of page |
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