PRIME FORMULAZIONI
a D.
come un taglio di luce (inverno, quasi
sera) che finge note
di vetro (indaco e lunghe grida d’organo
nel grembo della chiesa: era la tua
camera, credo, i letti allineati,
le stuoie ruvide come una stoppia
di rafia e un filo di
bistro sul tuo cuscino)
una ferita
perfetta, ma «non trovo cicatrice,
solo un segno d’interna dissonanza
là dove è il senso»
e adesso, la tua bocca
che annebbia il vetro nero contro un nulla
di paesaggio trascorso, intrattenibile
(linee di foglie e rami)
ma nessuno
può insegnartelo, è tuo, vedi, the seal
Despair: scrivilo qui, che manca l’aria
dove tutti respirano: ma forse
ora, nel tempo nudo che ti fila
ragnatele di brina alle pareti
anche un gesto è bufera:
e dura solo
l’attimo della luce, poi traspare:
«scusa se ti ho confuso, ma era un’altra
che terminava, o cominciava in questa
brace di paglia e mi velava gli occhi,
vita, non più la mia: la tua, nemmeno,
che non conosco»
e quando viene, tutto
tace e l’ascolta: e quando passa (qui
la tua casa è di cera) resta solo
distanza (e brucia al tocco della torcia):
«eri tu che parlavi?»
(vedi, il vetro
dice luce alla luce)
(29 novembre 2005)
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TEOREMA DELLA NEBBIA
a D.
1.
ma la senti anche tu questa che sale
e si spande in volute e si ripiega
lenta e insinua il silenzio della nostra
stanza nebbia perfetta impronunciabile
gelida come luce e agita forme
diafane e in sé trattiene ogni parola
detta e ripete tutto sfuma tutto
in un bianco di cenere e ti lascia
sulle labbra una resina che lega
e non si scioglie?
(notte: luna nuda:
coro di risa: un cretto che traversa
la tela: un cenno d’ali e la civetta
che urla rauca dai rami:
ha gli occhi gialli,
sai, divora lumache; molte volte
mi ha svegliato il suo verso molte volte
ti ho pensato, non era la tua faccia
però: ma non importa: sogno della
governante: l’orina lungo i moli
e la nave che parte)
e adesso vedo
una casa bruciata dalla lebbra
una ruggine d’alghe sulla riva
una donna che termina il suo parto (ancora: ancora vita)
contro un vetro
di stoffa che non sanguina
sei stanca
di tutto questo? il giro che ribalta
la giostra contro il cielo: le tue mani
(queste dico: che vedo ora: che tocco
ora e toccano il calco delle mie) bastano alla manciata
[d’oro e brace
ch’è il tuo dono (ora ho sete) la tua dote
interminabile:
ti sposo adesso
e ti dico perfetto: chiuso qui dove il cerchio si chiude e stringe l’ultimo
nodo alle dita:
cominciava «cara»
– ti ricordi – la lettera: finiva
«baci»: poscritto: quam ob rem relinquet
vir patrem suum et matrem finché nebbia
finché nebbia (ora ho sete) vi nasconda:
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