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FLAVIO SANTI, Il ragazzo X, Borgomanero (NO), Edizioni Atelier 2004, pp. 61, € 7,50.
 
«Sono il ragazzo X / X sta per tutto quello che vuoi». Il ragazzo X è un clone umano: il clone di un uomo con cui tutta la cultura moderna si è confrontata: un Giacomo Leopardi rinato ai nostri giorni. La finzione è strutturata in una sorta di monologo (o soliloquio?) interiore che può prendere le forme del flusso di coscienza. Il clone del poeta ha «la stessa pelle di allora», ma si ritrova sbalzato da un mondo (quello dei secoli passati) chiuso, in un mondo dove ogni esperienza poggia unicamente su se stessa; dove tutto, e per prima l’esperienza stessa, pare bruciarsi nel nulla e non lascia traccia: «manca qualcosa, mi sono detto, / e non di poco: manco io / com’ero nel 1819 quando scrissi l’Infinito. / Caro Giordani, ma com’è possibile?». Bruciata la siepe tutto si appiattisce, così come l’idea della vita: non percorso di molteplici movimenti e direzioni, ma esistenza che vortica su di sé, sradicata. Santi, che si muove sulla via del Leopardi più ‘ironico’, quello delle Operette o dello stesso Zibaldone, riprende il filo dei Canti per dire «Io l’uso del cuore l’ho perso presto». Ironizza su quello che si credeva tratto psicologico leopardiano, ma che è più comune di quanto non si creda nell’animo di molti (soprattutto giovani): «L’unico modo che paga / la mia diversità è l’arroganza / della debolezza, spergiurare / di essere diverso perché migliore». Filo rosso sono i ricordi degli anni degli studi, dell’università (la domanda «ricordi?» è presente più volte nel testo). Il ricordo della scuola va sarcastico ai «messaggi dorati» dei cessi e tutte le altre ricordanze, il quadro di Nerina è sfregiato o per lo meno senza più colore. Il luogo di queste «pene primaticce» non è oggetto di rimpianto, solo il colle dove il poeta di Recanati guardava la luna rimpiangendo l’angoscia passata. La luna del Canto notturno con la domanda sulla vanità della vita, trasforma la sua luce nei pixel dello schermo dove scorrono le immagini di un sito pornografico. La ‘domanda’ del canto si rovescia nella descrizione ossessiva di un atto masturbatorio, atto che finisce però per rinviare a un’idea di vitalità sprecata destinata a insterilirsi, di rabbia e solitudine, ribellione passiva, oscuramento totale (proprio davanti a quel video) di ogni orizzonte. I ricordi rappresentano una delusione prevista (stiamo parlando di un ‘reincarnato’). La vita arriva ad abbassarsi alla mera realtà biologica – «La vita è fatta per lo più (e per di più) di gastroenteriti, pulsioni basse e banali, eredità familiari» – unico sussulto, la libido autoerotica e immaginativa. Ciò che sta intorno fa parte di un panorama sociale, antropologico noto: «il verde è sempre il verde / mercé la merce alquanto merdosa / eccoci a far la spesa al Mercatone / riserve su riserve, scatolette, pacchi, zucchero e sale, beni di prima necessità». Di qui l’impossibile elegia, l’uso di una lingua (in alternanza di versi più liberi, lunghi, pasoliniani e versi più brevi, compressi) tagliente, scabrosa, a tratti violenta. Dove esiste nel Ragazzo X l’espressione di un male sociale si intravede in filigrana il fantasma di altri padri o fratelli maggiori. Vengono in mente Pasolini e Gianni D’Elia. D’Elia per il progetto poematico e per le impennate ‘civili’ (o ‘incivili’), mentre il tono di Santi si avvicina a tratti al Pasolini tardo, da Trasumanar e organizzar alla Nuova gioventù. Ma dove Pasolini, anche quando si contraddice, si fa sommergere dal flusso talvolta disordinato e oscuro delle argomentazioni in versi, Santi (ed è giusto così, è uno scarto rispetto al ‘maestro’), si fida meno del suo orecchio, non può contare più su un orizzonte di ideologia intesa come lettura del mondo in avanti, retaggio di un marxismo sia pure eretico, dove la delusione può ancora trovare un pulpito, farsi sentenza, oscura profezia. Il ragazzo di Santi ha perso l’innocenza («adesso è proibito sognarti, innocenza / quando ancora eri possibile») e, questo sì, leopardianamente: «Quindi è sempre lei, l’illusione, / che ci sbanca, siamo la sua / vincita preferita». Ma la generazione di Santi Pasolini non l’ha vista più e nel suo libro sembra avviarsi verso la presa di distanza dal suo maestro più amato. I suoi versi, presupponendolo quasi per intero, sembrano già quasi destinati – e sarà il lavoro futuro del giovane poeta a dimostrare o a smentire – a volerlo superare, a bruciarlo dopo un viscerale attraversamento. Nessun «Dio Ragazzo», nessun «Anghelos», nessun Ninetto. Forse la generazione cui il Ragazzo X ha dato voce, o le generazioni dopo di lui, nessuno sarà lì ad attenderla.

Valentino Fossati

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