« indietro Piero città, luce ideale di Franco Buffoni Come nelle cartine del seicento Più vasti i golfi conosciuti Minuscoli invece sfuggenti I promontori lontani Il profilo di terre solo udite. Scendere nottetempo dal pendio sul lago Per passare il confine di nascosto, Portone con ancora il nome fuori Alla luce solo di candele. Lugano e poi Varese, le aie Campagna grata E i cortili in profonde ferite Fare sentire le cose Principessa che armava gli eserciti O serva a tirare la sfoglia Accanto alla culla in legno di castagno? Quando la famiglia era un’organizzazione Fa materassaia e due serve nuove Se la padrona partoriva, la ricchezza La si valutava da quante volte all’anno Era il più gran corredo del paese. Le stradine vene fragili Viste dalla torre, La numerazione ventesimale celtica Ma anche i longobardi che appoggiavano loro muri fragili e non dritti Al castro diroccato (e si vedono i vani di due metri Avevano appuntamenti Segnali dati da amici efficienti routine Silenzi interrotti dal cinguettare Degli uccelli che si riproducono. Piero è un paese senza abitanti, Coppella dopo coppella di stelle fisse. Sul masso sacro poi sorse la chiesa Ma restano i bordi del canale del sacrificio, E una rupe vicina Mostra un intrico di segni, Un sole coi raggi O un girasole profondo Dal cuore rivolto la sera Alle coppelle in pendenza Riempite di cera. Segnali a diversi colori Di sponda in sponda del lago Da Ascona a Taino coi fianchi a rispondere Al Cusio e al Ceresio. E poi qualche segno possesso presenza In un paese dal nome oggi di uomo. E alla prima casa un auspicio Il segno votivo di cento vere coppelle Su un masso all’entrata. Per il mangime dei polli, per l’acqua piovana I pulcini. Ne pare convinto Il vecchio solo di Piero. ¬ top of page |
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