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IN SEMICERCHIO. RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXIV (2021/1) p. 115 (scarica il pdf)

LUIGI SOCCI, Regie senza films, Roma, Elliot 2020 (collana ‘poesia’ diretta da Giorgio Manacorda), pp. 97, € 15,00


Una ‘regia senza film’ è molto di più che una sceneggiatura per un film non realizzato. È un ‘quasi film’, un ‘film parallelo’ o un ‘film povero’, anche se, in effetti, quella che il titolo suggerisce è comunque l’idea di una mancata realizzazione (per mancanza di quattrini, taccagneria dei produttori, disinteresse del pubblico). E, diavolo di un Socci - si direbbe uno dei trucchi di prestigitazione di cui la sua poesia è piena -, ecco che trasforma in volume organico, Regie senza films, la precedente ‘maxi-plaquette’ Prevenzioni del tempo (Premio Ciampi, Valigie Rosse, 2017, per la quale si veda la recensione di Riccardo Donati in «Semicerchio» 57, 2017/2) e cosa succede? Scoppia la pandemia, e il libro si trova ‘silenziato’, oltretutto perché, all’inizio, la presentazione in digitale non era ancora diventata abitudine e realtà. Certo, di cortocircuiti tra realtà e finzione, se ne sono visti nel frattempo un bel po’, ma, per il lettore di Socci, l’impressione che da qualche parte ci sia il trucco, quella non gliela toglie nessuno Per tornare al titolo, ogni cinefilo nemmeno troppo agguerrito sa che ci sono film realizzati ma poi ‘scippati’ all’autore e da questi magari ripudiati. Di solito lo scippo parte dal montaggio: gli Studios che ti prendono un film di Orson Wells, lo tagliano e gli cambiano il finale. E Socci che ti fa? Rispetto al montaggio di Prevenzioni, opera, bisogna dirlo, di editors ben più sagaci dei magnati hollywoodiani (si tratta di Paolo Maccari e Valerio Nardoni  il montaggio che si può supporre dell’originale. Il risultato del libro ricomposto è nuovo ed azzera la forma del precedente. Di fatto abbiamo ora un volume composto di cinque sezioni. La prima, Autofiction, si apre nel segno della gente («La gente è perfettibile. / La gente è migliorabile. / La gente non è male. / La gente cammina in modo innaturale»), quella massa che però il titolo obbliga a identificare come doppio dell’autore. ‘Gentismo’? Uno per tutti/tutti per uno, come nel celebre inizio «I am the people, the mob, the crowd, the mass» di Carl Sandburg? Piuttosto il testo ci dice che le persone sono potenzialmente bravi attori non professionisti («La gente non sa stare al suo posto / perché ha un certo talento non richiesto»), immagine in cui Socci, performer e ‘performer di performer’, si riconoscerebbe benissimo. Segue la sezione Director’s cut, titolo che di per sé illustra tutto il senso del progetto ‘senza regia’e che si apre con un pun (Il mio pronome è nessuno), che equivale al roteare balenante della rivoltella prima dello sparo secondo il genere dello spaghetti western a cui allude. La seguente, Monologhi e altri dialoghi per voce sola, contiene la poesia che non escluderemmo mai da un best of degli anni zero, Poesia visiva, lungo esercizio di prestigitazione e dell'arte del nascondere facendo vedere («adesso vi faccio vedere una cosa / adesso vi faccio vedere una rosa [...]») che include la sequenza del video sulla morte di Fabrizio Quatrocchi il contractor assassinato in Iraq da un gruppo islamista («adesso vi faccio vedere / come muore un italiano») di cui quello che importa svelare è soprattutto la «retorica patriottico-martiriologica» che ancora accompagna ‘la narrativa’ dell’episodio sul web. La quarta ‘bobina’ (se vogliamo continuare la metafora cinematografica) Imprevisti e probabilità, oltre a presentare nuove variazioni sul tema del trucco («Il trucco sta nel farsi / colpire a effetto / sorpresa trasecolare per tutto / restare a bocca aperta con le mosche / che ci volano dentro esterrefatti [...]»), insinua il sospetto che anche il ‘tema’ stesso sia truccato. La poesia finale, Prevenzioni del tempo, unisce infatti deregulation metereologica e sconforto collettivo/individuale («insistono col fatto che non c’è / mezza stagione / che non ci sono più le morte / stagioni di una volta, la presente / viva e sepolta non è imminente»). La quinta e ultima sezione, infine, L’amore vince sempre (e non fa prigionieri), ci consegna «cocci di socci», l’autore sbriciolato e da reincollare. Un ultimo trucco ci riuscirà? Sicuramente non saranno i buoni sentimenti a fare il miracolo, ci si può giurare: «l’amore vince sempre / e non fa prigionieri / l’amore vince sui sostenitori / dell’odio perché è come e peggio di loro / l’amore vince sempre non c’è gara / l’amore vince sempre / perché bara».
Questa rapida descrizione dà solo un’idea della vertigine linguistica e della rapidità illusionistica della poesia di Socci. È facile ora dire, con cinema e teatri vuoti, che le regie di Socci, anche ‘senza’ film, sono comunque, loro, ben vive e reali, facile ma non cancella il gusto di amarezza e di tristezza nel momento di dirlo. Però, però ... se non i fatti (mago sì, ma non indovino), anche questa tristezza aveva previsto Socci che di teatri vuoti se ne intende. Si pensa a quello svuotato dal gas nella memorabile Ultima prima al Na Dubrovka (in Freddo da palco, edizioni D’If, 2009), poesia sulla strage nell’omonimo teatro moscovita, il 23 ottobre 2002, dopo l’assalto delle forze speciali russe. Il referto è però cristallino: «Il teatro russo degli anni ottanta / mi stanca. / Il teatro russo degli anni novanta / invece incanta. / Ma il teatro russo degli anni zero / è vero». Mondo e teatro sono a specchio; nella sala sommersa dal gas, scende «una cappa come un effetto speciale reale». Per la sua capacità di includere il gesto nel testo, di instaurare una sintassi mimica, nelle sue Regie, Socci dirige invece sé stesso. Il trucco è che, coinvolti come gli anonimi attori non professionisti del testo iniziale, noi lettori, la gente, perfettibile, migliorabile, ci troviamo proiettati in un casting dai risvolti sorprendenti. «La gente non è male. / La gente cammina in modo innaturale»: chiuso il libro di Socci, chi potrà ancora camminare, per almeno la mezzora seguente, in ‘modo naturale’?

di Fabio Zinelli

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