« indietro BERNARDO PACINI, Fly mode, Novara, Amos Edizioni 2020, pp. 104, € 11,40. (pp. 109-110).
Dopo il felice esordio con Cos’è il rosso (Edizioni della Meridiana, 2013), Bernardo Pacini ha pubblicato un libro d’arte, Perfavore rimanete nell’ombra (Origini Edizioni, 2015), e la plaquette illustrata La drammatica evoluzione (Oèdipus, 2016). Silenzio poetico e sperimentazione estetica legano Cos’è il rosso a Fly mode, la seconda silloge del poeta uscita nel 2020 nella collana A27 di Amos Edizioni, e accompagnano l’intero tessuto lirico delle sue cinque sezioni (Alto levato drone, DCIM, Vite in 4K, FAQ, Appendice). Se, da un lato, il silenzio poetico è diventato voce tra il 2014 e il 2019 – a cui si devono aggiungere «alcuni testi recuperati da bozze precedenti: rimasti in quiescenza, sono ora compiuti in questa forma » (Visual Line of Sight, Il filo di Kevlar, La circostanza, cfr. Note al testo, p. 87) –, dall’altro la sperimentazione estetica si manifesta a più livelli nella raccolta sotto forma di prose, epigrafi, citazioni inter, extra e intratestuali, sospensioni, riprese e pause, frazioni dialogiche, all’interno di un complesso poetico di impostazione lirica che risente fortemente di quella che si potrebbe chiamare la ‘fenomenologia della vista’. L’esperienza vissuta del soggetto lirico, infatti, muove da un’idea di mondo veicolata dagli effetti visivi e dalla visione che l’io sviluppa attraverso il contatto tra i propri occhi e la realtà delle cose; e qui non ci si riferisce semplicemente alle visioni di Postproduction (pp. 63-64), ispirate all’opera dell’artista Nicola Verlato, in particolare Atteone (2019), ma all’intero apparato lirico – il titolo Fly mode, in questo senso, deve essere letto come un vero e proprio modo di vedere le cose attraverso il volo. La raccolta si apre attorno a una manovra, l’hovering, eseguita da un aeromobile a sostentamento verticale, di cui l’io si appropria nel testo eponimo per dichiarare la propria poetica: «Abissato in questo sogno meridiano / immobile / nella tratta dei venti / io vedo tutto» (p. 15). Muovendosi tra interno ed esterno, e osservando, fin dall’epigrafe di Hannah Arendt, «la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male», il soggetto diventa un io «sono» (p. 16), «ved[e] tutto» (p. 18), si realizza, meccanicamente, come «uno spettacolo atroce» tra «ciò che non esiste» e «ciò che non sa più d’esistere», «diventerà una fase standard del discorso» (p. 17). Essere, divenire e accadere, attraverso la visione dall’alto e dal basso: l’io è un drone («Io, drone alto levato / sono un prototipo-campione / di umanità», p. 25), un quadricottero («questo penso», p. 22), utilizza l’aerofotogrammetria per scrivere in prosa («E io? “Drone utilizzato per scopi ricreativi” pensa, eppure so di avere un compito da svolgere per lui», p. 20), e rimarca la precarietà, necessaria, di questo specimen conoscitivo («credo sia tutta una questione / di bassa autonomia la batteria che cala troppo presto / il falso peso di una pietà virtuale dello sguardo / che quanto più registra tanto meno guarda / eppure ammetterai / che tale elevazione / è pura trascendenza», p. 25). L’orizzonte è in ogni caso laico; eppure, la corrispondenza tra corpo dell’io e corpo del drone suggerisce una linea d’ordine superiore alla realtà delle cose, il cui materialismo mira in un certo senso a fondare una nuova idea di trascendenza laica, tecnocratica (che però prenderà forma totale e totalizzante nell’appendice: «Avrei voluto già averti, drone, per vedere ciò che non mi era dato», p. 80), sul piano poetico – del resto, i DCIM, titolo della seconda sezione, non sono altro che una nuova anatomia dell’io (la cartella per le ‘Digital Camera Images’ di macchina fotografica o fotocamera digitale). Dopo la visione, dunque, si verifica il momento del salvataggio. Diversamente da Antonella Anedda, però, non ci troviamo di fronte a dei labirinti della memoria; in Pacini, le impressioni sono fenomenologiche e vanno salvate digitalmente in sequenze liriche che tendono alla sovrapposizione, all’accumulo sinestetico di sensazioni visive e, successivamente, acustiche («Quando sente», p. 31; «Quando si accorgeva», p. 34; «Così scandice con le labbra / nel silenzio», p. 36; «dichiara guerra alla circostanza», p. 38; «ronzio di colpa», p. 42; «(Per me è questo il grido», p. 43). Questa forma duale di conoscenza sottolinea la dimensione sperimentale del soggetto lirico: una volta trovata la sede della foto all’interno della memoria digitale dell’esperienza, bisogna capire «l’assetto» delle cose: «un motivo ci sarà, se stanno così» (p. 39). Ma come stanno effettivamente le cose rispetto al mondo dell’io? Pacini non ritorna alle cose stesse, né propone soluzioni rigide e/o assertive. Al massimo, la proposta, empirica, è di rendere più nitida e totalizzante l’esperienza visiva del passato (o del presente); e una volta acquisita, di verificarne gli esiti. Per esempio, nella terza sezione, le vite sono rappresentate in 4K (ultra high definition) e rappresentano la realtà attraverso la televisione digitale, il cinema digitale e la computer grafica in un formato che approssima la realtà alla perfezione tecnologica (attuale). Il tono della serie muove tra lo «splendido incantesimo» e «la scena apocalittica» (p. 48): lo spazio si popola di «besti[e]» (p. 49), il digitale produce forme di immanenza costanti che annullano ogni forma di individualità – l’io è un essere in serie che si ripete identico a sé stesso in ogni casa, anche quando si confronta con l’alterità («Sei sempre dentro di me, letteralmente: / salvata in DCIM, in ordine per data. / Appari all’incirca al minuto 17 / eccetto il martedì – che prendo un’altra strada», p. 54). Le istruzioni per l’uso che chiudono la parte lirica (FAQ) dispongono in versi «un’esistenza a circuito chiuso» (p. 62) che ha origine in una comprensione preliminare del «silenzio: possiede una sua retorica e genialità, un calore e un’immoralità, una giustizia e un incomprensibile alfabeto» (p. 56), scrive Pacini nella prosa che apre le ‘frequently asked questions’. FAQ riprende sistematicamente il tema del volo, come matrice e grimaldello, per verificare, si direbbe, gli effetti fenomen logici delle foto salvate nella memoria e della vita rappresentata in alta definizione: la postura dell’io è fortemente apostrofica e si rivolge provocatoriamente a varie forme di tu che usano la tecnologia per vedere il mondo («ti vedo: sei di spalle, al computer / con le dita sfiori il piumaggio duro di un pomelo. / Intanto Google Street View: tu che spiri come bora per le strade / assorbito da un grottesco punta e clicca», p. 66). La chiusa di questo testo è particolarmente emblematica: «Si sta bene qui? C’è un buon clima? Si può essere felici / senza essere mai stati? Essere felici senza esserci mai» (p. 67). Sulla falsariga di questo interrogativo categorico, l’Appendice, infine, non è altro che il diario del dronista, come recita il sottotitolo di Memoria interna – titolo che è accompagnato a sua volta dall’epigrafe di uno dei principali storyteller del Novecento (W.G. Sebald). L’io diventa un osservatore di secondo grado e osservando sé stesso e il mondo alterna prose, poesie prosa, prosa in prosa, brevi versi che destituiscono di ogni primato conoscitivo l’esperienza mediale; ad essa si sostituisce un’esperienza esplicitamente personale e familiare, dove il soggetto ritorna a una soggettività ipertrofica attraverso, però, la distruzione della forma lirica. Pacini conosce molto bene i meccanismi della poesia, della prosa e dell’interdiscorsività intermediale. Fly mode è un libro estremamente maturo, rispetto tanto all’esordio quanto all’età del poeta (1987); e, forse, questa estrema consapevolezza dei meccanismi della poesia sembra, a tratti, limitare la novità della proposta dell’io: le epigrafi, le citazioni, le riprese di modelli e fonti talvolta formano una sorta di bolla macrotestuale (la raccolta è volutamente costruita secondo determinate strutture che rispecchiano l’idea, contemporanea, della forma-libro di poesia) da cui l’io sembra voglia liberarsi. Ma forse la bellezza di questa raccolta risiede proprio in questo costante conflitto, lirico, tra l’anima e le forme. ¬ top of page |
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