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ITALO TESTA, quattro, Salerno, Oèdipus edizioni 2021, pp. 84, € 11,50.

(pp. 114-115)

 

Dopo due raccolte variegate per forme e contenuti e sedimentate in lunghi archi di tempo come L’indifferenza naturale (Marcos y Marcos 2018) e Teoria delle rotonde (Valigie Rosse 2020), Italo Testa propone un’opera molto unitaria nei procedimenti e nei soggetti, che va in primo luogo descritta almeno sinteticamente. Quattro il titolo; quaternaria la suddivisione principale (uno, due, tre, quattro i titoli delle sezioni o movimenti, volendo sottolineare l’analogia con il genere musicale del quartetto); ogni sezione è costituita da quattro pannelli, articolati in quattro testi divisi tra loro da linee orizzontali, e ogni pannello è inaugurato da una sorta di titolo-indice composto dai primi quattro numeri interi positivi incolonnati, seguiti ognuno da una parola, a volte accompagnata da articolo o preposizione (il primo caso che si incontra ad apertura di libro: 1. aprire 2. un vetro 3. luce 4. giorno): parola che solitamente si ritrova, spesso ma non sempre in prima posizione, nel testo numericamente corrispondente. Rappresentando in cifre questa configurazione gerarchica movimento-pannello-testo, potremo dire che il testo incipitario sarà I.1.1, e così via contando. Per ogni pannello di sedici testi ci sono sette parole-titolo (come le lettere che compongono la parola “quattro”), alternate secondo uno schema variabile di permutazione che presenta però due regolarità interne: al passaggio da un quartetto all’altro tre parole rimangono uguali (uguali nella variazione, in realtà: permane la radice, può cambiare la categoria grammaticale; considero per esempio aprire e aperto una sola parola, o meglio una sola sostanza semantica, così come respira e respirando, e così via) e ne entra una nuova (così da I.1.1 a I.1.2: aprire, un vetro, luce, giorno; giorno, aperto, una luce, respirando), e l’ultima parola del quartetto che precede è anche la prima di quello che segue. Regola, quest’ultima, confermata anche nella transizione tra un movimento e il successivo (sempre con piccole eccezioni). L’ultima parola-titolo del quarto pannello è identica alla prima del primo pannello; e si tratta, non casualmente, di aprire. Dunque due cose insieme: il libro è chiuso, doppiamente, per la quadratura ribadita su tutti i suoi livelli strutturali e per la ripresa anulare tra inizio e fine; ma tale chiusura viene modulata e ammorbidita (non frontalmente contrastata) dall’aprire che si trova ai due capi e da una serie continua di variazioni che lo innerva nel suo stesso ramificarsi. Riguardo alla seconda tendenza, va segnalato che i sessantaquattro testi hanno tutti schemi di raggruppamento versale differenti, che vanno dalla sequenza astrofica di versi singoli brevissimi fino alle quartine e al caso-limite di un sonetto (IV.1.1). Non c’è però uno schema lineare o evolutivo che guidi questa molteplicità; la tendenza a una progressiva estensione della misura del verso, e a un progressivo aggregarsi dei versi in strofette (con moderata reintroduzione dei segni interpuntivi, per un buon tratto del libro del tutto assenti), che si può leggere nello sviluppo della raccolta, viene offuscata nei testi conclusivi, dove ritornano i versi molto brevi e addirittura la parola singola può essere spezzata su due versicoli (in IV.4.3). Comprendere la fattura e i criteri di funzionamento del libro di Testa è indispensabile, perché solo la buona intelligenza di un progetto così formalizzato e rigoroso permette di vedere fino a che punto quattro sia immerso in e sostanziato da una materia che rifugge alla formalizzazione e alla cattura definitoria. Niente di più lontano da questo libro, infatti, dell’opposizione binaria tra forma fredda e materia calda. D’altra parte secondo i Greci la divinità del numero e del logos (dell’azione del raccogliere e misurare) era quello stesso Proteo che governava le acque, le metamorfosi e il divenire. E il numero non era soltanto l’entità astratta che indica la quantità degli elementi di un insieme, ma era anche preposto alla rappresentazione di fenomeni di diminuzione e crescita di grandezze, di sequenze e di progressioni (sono considerazioni di Paolo Zellini nei suoi libri Numero e logos e Gnomon). Di cosa parla quattro, e come? Certamente è il resoconto di un avvenimento comunissimo, ma ogni volta diverso, come quello della nascita dei figli (in questo caso una coppia di gemelli), dei loro primi anni di vita, del raggiungimento della postazione eretta, dell’ingresso nel linguaggio. Così come, dal punto di vista dei genitori, è il referto di un’invasione, di uno spostamento tellurico di tutti gli equilibri, di uno stato di prolungata trance. Tutto questo è vero ma non basta. C’è di sicuro uno strato insostituibile di esperienza vissuta alla base del libro, ma Testa lavora con cura ad evitare il racconto biografico, a neutralizzare tutti i riferimenti personali e i radicamenti psicologici. L’articolo indeterminativo è predominante, insieme al pronome indefinito: «un vetro aperto», «un taglio d’aria», «un lampo» (I.1.2); «qualcuno apre le imposte», «qualcuno dietro la porta», «qualcuno entra» (I.2.2). E l’indeterminativo, diceva il Deleuze di Critica e clinica, è «la determinazione del divenire», «la potenza di un impersonale che non è una generalità». Ci sono quattro esseri umani dei quali non si fa mai il nome in uno spazio abitativo: un uomo, una donna e due bambini piccolissimi: «un giorno / entrano/ nella / vita // un giorno/ varcano/ la / soglia // un giorno/ dormono/ tra / noi // un giorno/ vegliano / nel/ buio // un giorno / aprono / le / mani // un giorno / camminano /nel / mondo // un giorno / parlano / un / giorno» (I.2.1). Il tempo trascorre, ma non è misurato/misurabile (è una costante della raccolta, che non segue gli eventi calendario alla mano ma si muove in un fluire privo di punti di riferimento); il cambiamento interviene di continuo, a partire da quello discriminante, la nascita, ma a noi si presenta una serie di stazioni, o di istantanee coordinate, prelevate da un flusso che non si fa disciplinare, come confermano struttura seriale e finale aperto del testo. Gli stessi corpi non sono spesso che ombre stagliate contro le pareti, sagome incerte nel processo del divenire. Lo spazio non è soltanto quello della casa, sebbene questa sia il set centrale, e i protagonisti non sono soltanto i quattro umani. Tutti i margini e i confini sono sensibili, permeabili; tutti gli oggetti vengono intessuti in trame di relazioni orizzontali e non gerarchiche: le luci e i rumori che entrano dalle finestre, gli alberi che crescono sulla strada, il vento, le tende, i letti, i giocattoli, le lampade, il latte che cola dalla bocca, le foglie cadute sul davanzale, i segni di un morso… «si versa / nel giorno / come tempo // si versa / negli occhi / come luce // si versa / nel buio / come ombra // si versa / nel corpo/ come sangue //si versa / nel cielo / come stella // si versa / sulla strada / come nebbia // si versa / nella bocca / come latte // si versa» (II.2.4). Questo elemento, a cui la scrittura non dà nome, dovendosi per forza accontentare di definirlo per analogia e comparazione, è forse il vero soggetto della meditazione poetica di quattro. Di questo sono fatti i corpi, i pensieri, i legami, i fenomeni così intensamente sentiti e osservati.
   
(Federico Francucci)


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