« indietro DAVIDE RONDONI
Volti senza dominio
«incendio sanza metro» (Dante, Purg. XXVI)
I
Ti ho cercata nel mio corpo e ovunque nella notte, mia felicità
fatta di niente
di vedere improvvisamente le mani
fatta solo del proprio grido.
E nelle strade che sembravano andare, venire senza portare quel viso
in una luce irrefrenabile ho vissuto pedalando lentamente sotto una pioggia
che sembrava cadere da sempre
II
L’hai trovato nel mio petto il mostro di voler bene da lontano...
quel che le guarigioni del sole non alleviano
le fedeltà che bruciano in nostalgie
quel che non ha scampo le dita del deserto ai miei occhi che risalgono
l’amore che gridando d’amore si allontana
Ma con te che hai il petto piccolo, e trema freddo come il mio
posso bere stasera dalle mani i vini d’aria che il cielo ha fulminato
alzare lo sguardo brindisi da questa sedia al mondo intero,
al corpo pieno di notte del mistero...
III
Com’è bella Bologna sotto la neve e tu come sei bella sotto il lento cadere dei miei baci che si posano un istante e svaniscono sulle tue labbra e poi riappaiono –
è oro e ghiaccio via Indipendenza, la neve un furto gentile ha rubato le voci, le accelerazioni, se n’è volata e così sia, un poco d’impazienza dagli occhi.
Rallenta il ventre della città, sussulta più piano, sembra il ritmo giusto per dirti ti amo.
Ma anche in questa confidenza è gelo, argento, una spada la mia vena di solitudine in cuore, sguardo immobile dentro la guerra, ancora desiderata l’acqua gelata sul volto.
Non andartene, se puoi, visione della nevicata, resta a ricevere piccoli fiocchi sui capelli, sulle dita tremanti con la sigaretta
fammi dormire nel tuo buio silenzio bianco
IV
La tua sera è un cappello che vola dalla finestra, di là dal vetro hai stagioni fulminee sul volto
e mi arriva in testa in un passo di musical
segreto tra noi –
io lo porto con me nella città dei mille racconti che nel mio corpo fanno alveare,
e su quel brusio, amaro a volte di colpo che tace
com’è chiara, dolce e veemente la canzone che sei.
Non finire mai, dico e chiudo i miei occhi, fatti sempre guardare...
V
Han fatto il nido quei baci – fioriscono, trillano, si perdono nelle cavità, nei precipizi di me, nei covi, nelle gallerie con l’eco di vecchie canzoni di dolori, allegrie risuonano, svettano contro le chiome di luce improvvisa degli alberi antichi del cuore.
Chiama così tanto da quei nidi e dalle tue braccia ferme su di me.
Sei immobile in quei gridi che si levano a corona nel sangue e nel cielo dove mani invisibili slegano tra loro le nubi, corre qualcosa di te in me una dolcezza rapace.
Più nessun vento tace la piccola e dispersa gioia dei nidi che mi hai posato, calma, sul volto e nel petto.
Se ti guardo c’è qualcosa di fermo, una cenere che si fa chiara tra le dita.
È dopo che si alza il coro, sterminato.
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