« indietro MICHELE PIERRI, E ti chiamo - libera verità, Trento, a cura di Giuseppe Pierri e con uno scritto di Donato Valli, La Finestra, pp. liv + 451, Euro 48,00.
La raccolta contiene tutti gli scritti di Michele Pierri pubblicati in mezzo secolo di attività. Nella lettera introduttiva a Contemplazione e rivolta (1950) Carlo Bo scriveva: «Questo modo segreto ed esigente di scienza umana è il primo atto, l’atto indispensabile della poesia, se davvero la poesia non vuole essere soltanto una diminuzione sentimentale». La poesia di Pierri non è una poesia ‘atteggiata’, è una poesia, piuttosto, letterale. L’atteggiamento è gnostico, come di colui che è straniero al mondo, ma non per questo meno partecipato (il cattolicesimo marxista come possibile fuoriuscita dal mondo). Se ci furono cose nascoste sin dalla fondazione del mondo è compito del poeta enunciarle operando un ritorno al centro, la riconquista del proprio non-luogo. L’esistenza come spazio vuoto è d’altra parte tema frequente nella poesia di Pierri: «Rimase appesa al muro / la cornice da cui / il ladro portò via / il prezioso dipinto. // In quel vuoto sul muro / è segnato, non so da chi, / il mio nome – e non il tuo / per ridurmi più solo» (Dipinto rubato). Nella raccolta Chico ed io (Chico è una gazza), sono rievocate le istanze montaliane rappresentate dall’angelo nero, ed è sempre a Montale che è possibile rinviare la concezione del sacrificio pierriano, al Montale delle Occasioni. L’atto dell’offerta è nel sacrificio l’elemento di sacralità. Questo elemento rappresenta ciò che è condiviso tra l’uomo e Dio. L’elemento è per il Poeta la lettera (non la parola) posta sull’altare della pagina per essere ‘sacrificata’. La soppressione crea il vuoto: il Poeta si disfa della lettera per comunicare con Dio. Ma tolta di mezzo, la lettera annienta la funzione del poeta ed è la sua una tensione che si manifesta sul muro dell’esistenza proprio là dove prima trovava posto un quadro o un qualsiasi altro oggetto. La lettera è allora dipinta nel quadro, è il quadro stesso sotto il quale è posto il nome del poeta. La lettera della poesia vibra sul silenzio, soltanto l’accordo con le altre lettere può sostenerla perché la musica è prima di ogni cosa, è il silenzio prima del logos. Il poeta può riconoscersi sotto la lettera dipinta una volta che essa è ‘sacrificata’ sull’altare della finzione. Il doppio del Poeta, esemplato nell’espressione duale e programmatica fin dal titolo di Chico ed io, sta dietro la lettera, sotto il quadro, sotto la pietra del sepolcro: «Dovrai però contentarti / di quanto vi è nascosto / nel mio volere senza / potere – averti a costo / d’una simulazione; / ribaltata la pietra / del sepolcro, violare / quel Nulla tanto astuto / che meglio di me invece / ti conosce, se per questo / ti ha così dissolta» (in Ritratto di donna, La simulazione). La funzione poetica consiste nel ribaltare la pietra, violare quel Nulla che è tanto astuto perché si manifesta nelle apparenze e conosce quella donna meglio dello stesso poeta. Non c’è identificazione tra il poeta e la ‘donna’, tra il poeta e l’essenza di ogni cosa, ma la volontà di violare, di partecipare del principio generante-generatore. E non si tratta, detto altrimenti, di una visione mistica (identificazione) quanto iniziatica della poesia, a cui si accede per gradi e fino ai propri limiti.
Marco Albertazzi
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