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La bibliografia critica sempre più cospicua sulla letteratura migrante in lingua italiana si arricchisce di una nuova, interessante monografia a opera di Ugo Fracassa, che già in diverse occasioni (convegni, saggi per miscellanee) si era cimentato con l’argomento. Un libro necessario, Patria e lettere, a partire dallo statuto e dal percorso del suo autore: italianista novecentista, con studi e saggi, tra gli altri, su Montale e sulla letteratura per l’infanzia. Il dato non è da sottovalutare: la cosiddetta ‘letteratura della migrazione’ è stata introdotta in Italia attraverso la cattedra di letteratura comparata di Armando Gnisci, oppure, nella maggior parte dei casi, è stata analizzata da italianisti all’estero (Graziella Parati fra gli altri). Che sia un italianista in Italia a soffermarsi su migrazione e postcolonialità rappresenta un tentativo di apertura ‘dall’interno’ dell’italianistica, che mostra una certa fatica, all’ora attuale, a confrontarsi con la letteratura contemporanea attraverso i parametri e il canone consolidati. Patria e lettere scinde e problematizza i termini del binomio delle Patrie lettere di Cases (già al tempo non inscindibile e oggi impossibile da ricostituire), e lo fa partendo dalla narrazione della colonia, attraverso due documentati saggi su Malaparte e su Flaiano. In particolare Flaiano si costituisce come il paradigma imprescindibile per critici e autori migranti (Regina di fiori e di perle di Ghermandi può proporsi come una rivisitazione postcoloniale di Tempo di uccidere); molto interessante l’analisi lessicale di Fracassa, a partire dall’aggettivo ‘guasto’, la cui occorrenza costante sembra quasi sfiorare l’ossessione e certo svela un ‘disagio’ che, attraverso la lente delle teorie postcoloniali, apre una serie di riflessioni politiche sull’impresa italiana. Da notare, a margine, come diversi autori, affrontando la colonia, abbiano fatto ricorso ad aggettivi quali ‘guasto’, ‘sporco’, ‘malandato’, creando una gamma cromatico/etica dalle diverse ripercussioni socio-letterarie (e penso in particolare al Bacchelli di Mal d’Africa, ma anche al Berto di Camicia nera). (Daniele Comberiati) ¬ top of page |
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