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Semicerchio XXXVII (2007/02) La forma chiusa. Poesia dal carcere. pp. 65-66
(da ridefinizione)
(dalla sezione vengono)
in mezzo agli altri mi guardo intorno a scatti tubando masticando una gomma la bocca resta sempre leggermente aperta gli occhi appena sgranati i miei pensieri scorrono veloci e si focalizzano su alcuni elementi di fondo del percorso introspettivo chi è il penultimo in classifica del campionato di serie b e perchè maria de filippi sembra un uomo quando parla tubo ancora scuoto le ali dietro lo zaino il corpo docente sta affrontando l’estetica della nuova collezione di Roberto Cavalli un membro del corpo sta mostrando ad un altro la prova leopardata dell’esistenza del gusto ci sono invasioni in fila per l’imbarco ora tutti si muovono a scatti scuotono le ali ondeggiano aspettano credono
* eri nel sottoscala seduta alla scrivania ti nutro e sorridi come una bambina come un animale la lampada è spenta solo un triangolo di luce obliqua proveniente dall’esterno mi permette di raggiungerti la bocca mi guardi senza (saper) parlare sei contenta perchè hai fame e sono io a darti la pappa lo sapevi che dovevamo andare che ci aspettavano in macchina che non si poteva restare a casa ma per questo dipendevi dal mio cibo eri tornata indietro e non capivi che in realtà io ero già partito avrei voluto dirti dove mi trovavo che forse sono dietro lo sportello dell’armadio ma non ne sono certo dallo spiraglio mi si dice di guardare ci siamo noi di fronte alla scodella nella penombra
* da quando l’hanno portata anche se nessuno è in casa permane nel vaso con gli aculei sulla sfera verde attraversa la luce obliqua si mischia ai soprammobili compie azioni di cui non siamo al corrente va contro le cose fanno in modo che ci chiediamo se lo svenimento è una prova generale della morte se la scatola c’è ancora quando mi giro e noi stessi dall’altra parte a sentire l’odore della gente che passa nel corridoio prima della partenza a socchiudere le ciglia di fronte al mare dietro la porta viste da dentro come le ali degli insetti a guardare le sfere di placenta trasparente dietro lo schermo se è poi vero che quello seduto accanto si ricorda sempre di respirare se tutto per lui è una relazione lineare e se c’è davvero qualcuno al di là dello schienale nel telefono dietro allo sportello e dentro l’armadio nel sottoscala tra le dune che aspetta di mangiare
(dalla sezione lavoro di emersione)
quando ero piccolo la domenica mattina facevamo la passeggiata a un certo punto io e mio padre mentre gli altri continuavano a passeggiare ci infilavamo per almeno uníora in una libreria del cazzo di quelle del lungomare comprando roba improbabile spesso edizioni a mille lire di classici della letteratura cíera un libro che per anni non è mai stato venduto una bibbia illustrata dai masai mi ricordo che era grande e coloratissimo questa immagine è per me fonte di dolore
* ma altrove il sole giallo della sera poteva accadere che mi dicessi andiamo a casa sarebbe stato di estate è un agglomerazione di liquidi un insieme parietale di pelle e gomma che può non aver luogo ci sono partenze
* ancora discendendo si immette giù per il tubo una clessidra di vene e la sacca che potrebbe contenere tutti ma prima è necessario liberare i fatti dalle cause sta guardando il paesaggio dal treno in galleria somiglia alla polvere come se fosse possibile tornare nel vano scale bianco sul pianerottolo vuoto passavamo dal parco premevamo l’interruttore l’ingresso di finto legno illuminato a timer un lavoro di emersione
* gli dicono che non è niente il pallone raffaele ha preso il largo e non c’è (stato) modo di evitarlo la sfera gialla si allontana dietro gli scogli per lui questa partenza resta più tardi scompariva rotolando nel mare lo hanno recuperato con una barca ma non era lo stesso era più grande e a spicchi colorati
* viene aperto l’armadio nella penombra la valigia più in basso come un animale le finestre di ovatta la ventola più forte càpita che dimentichi di respirare allora passeggia dalla camera al parco non hanno tolto la foto segnaletica di vermeer se fosse la valigia a contenere realtà un accrescimento dalla sacca bianca e trasparente ma eravamo troppo occupati a cercare
* aveva il tuo stesso volto quando ero partito correndo da una parte all’altra del parco per abbracciarti avevo proseguito fin verso la strada dopo quella figura che non era te facendo finta di non essermi sbagliato era strano in effetti che tu fossi già tornato poi si giocava con le macchine di plastica si andava dal parco al selciato dal salice al garage dal vano scale all’ingresso e poi giù per il tubo nella valigia ci chiedono
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