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Semicerchio XXXVII (2007/02) La forma chiusa. Poesia dal carcere. pp.81-82
(XVIII Edizione della scuola di Scrittura Creativa)
LUIGI SIROTTI
Uno strofinaccio
mi guarisce pensare alla morte come allo straccio che la mia assenza renderà brillante: pulirà le pareti che ho abitato, gli occhi asciugherà di chi insiste ad amare, aprirà varchi ai baci di due sconosciuti, ai loro pensieri; sarà un’ipotesi di spazio nuovo, una cornice vuota per la foga di un cencio in mani più lucide, minuziose, partecipi.
Fra terra e mare
ancora e ancora, insistentemente le maree non scrivono romanzi. a loro basta il canto l’occultamento tenero di quel punto di congiunzione, così che nessun occhio avido si vincoli all’eterno.
Pietà
Appariranno un giorno di nuovo gli orti, le città. i gabbiani ritorneranno al mare abbandonando le discariche, gli occhi avranno di nuovo palpebre di pudore: lo leggo sulle tue braccia, su queste oasi in trasparenza vedo culminare le traversate desertiche, ogni migrante.
ROBERTO MOSI
Remember thee ? Ay, thou poor ghost, while memory holds a seat In this distracted globe.
Hamlet,William Shakespeare
La Manifattura Tabacchi
Tosca mi guida per un varco dall’argine del fosso macinante dentro la fabbrica abbandonata, guscio vuoto di antica eleganza. Sedici compagne attendono al centro del piazzale, uscite dai sedici fabbricati a raggiera dove sono custodi del silenzio.
Ogni donna narra una storia, Federiga ricorda un’immagine: il portone della fabbrica si apre, una foresta di mimose avanza, le sigaraie escono cantando per la festa dell’otto marzo. Si accende il viso di Delia: la sirena, è lo sciopero, sassi sui fascisti entrati nel piazzale.
Parole sulla vita di ogni giorno, la sirena e la corsa per timbrare, il pianto affamato dei lattanti, il girare vorticoso delle macchine l’affanno per raggiungere il cottimo.
Federiga e le compagne tornano a difendere il silenzio della fabbrica. Tosca mi porta al varco nel muro, fra i cespugli sull’argine del fosso: «Parla delle idee che abbiamo vissuto, tessi il filo della memoria».
Scorrono le acque fumanti del fosso, nere talpe si dirigono verso il Centro, sulla discarica è disteso un manichino, la maglia rosa: “Dream-like memory”, topi si agitano nelle cavità degli occhi.
MARION BARINA
they speak of stars
they speaks of stars they can not see and spy
a woman in a green dressing gown los in expectation,
the diffraction of light left between drawn blinds. Glimpses
of a man with a key pausing on the threshold to dream,
of other lives which brighten the street to taunt them.
And a room filled with mirrors, a myriad of flames.
As they wait in the dark for the bus to arrive.
NOVELLATORRE
Ci estingueremo. Che importa? Vivremo altrove. Torneremo ai paesi di nuvole basse da cui aspetto a bocca aperta adesso la tua benedizione. Andrà intanto lieve per il mondo la nostra forma di giganti come nembi, a grandi passi per i deserti di canne, di chiese, di presepi. Tu ci volerai innanzi. Presbite la nostra luce guiderà finché ci disfaremo, assunti.
Parlano di stelle
parlano di stelle che non possono vedere e spiano
una donna in vestaglia verde persa nell’attesa,
nella diffrazione della luce fra le tende socchiuse. Vaghe apparizioni
di un uomo con la chiave fermo sulla soglia di un sogno,
di altre vite che illuminano la strada per turbarli.
E una stanza piena di specchi, una miriade di vampe luminose.
Mentre aspettano nel buio l’arrivo del tram.
Figuro la tua casa
Figuro la tua casa. Ed è orda d’anni non solo di mura, di giardini d’infanzia vecchie e nuove, che ci ha fatto di fili tesi ad asciugare, di tiepide mani arrese sulla spalla. E te figuro padrona. Cammina, quieta o inquieta, spettinata madre d’altri figli nitida e perfetta nel discegliere quanto altri mai fanno o dicono di fare, presa, invasata quasi come anch’io passeggio per gli intonaci bianchi e spavento: gomma ai piedi e suonano acque e venti intorno e si allontana al canto di gandure e canne la gatta di casa che eri, la pinna dei pesci di mare. È la tua terra, non so. Sarà forse, di fichi violetti e d’india, di odori e musiche che vicine e lontane ci fanno su una sola nota, un lamento. Ma allieta la casa, pericoli scansa, si allunga, la mano tarda alle mura avvicino la mia; di pania di vischio di rondini tornanti, nere che più non riconosco, e tu quiete parca struggendo lasci la mano, conduci alla porta ove cose e anni libere ci fanno, come liberi i venti.
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