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Semicerchio XXXIX (2008/02) Waste Lands. Eliot & Dante. pp. 66-67
la cosa prima
perché la cosa prima di scegliersi è finire e una volta morti e aperti i semi patire i gusci dentro il letto, tentare di aprire le ali sforacchiate, girarsi e rigirarsi senza tempo senza pace
la cosa prima ancora è riposarti senza una parola senza occhi senza dito che sulla punta tremi tagli stacchi l’adesivo tocchi il buio senza fondo, turi ancora l’orecchio, scalzi il dente
l’ultima cosa ancora precedente sarà partire senza averti minato, campo di lancio o di preghiere sotto un velo, alta la lode al cielo e ritrovarti arato aperto disossato
e ciò che c’era nella mente c’era stato un filo di vento, senza tradizione, un tempo senza nessun avviso, in cui dentro qualcosa di vecchio fu dopo un secolo di febbre il tuo sorriso
rossa in testa
è stato come lavar via il colore delle fragole vederti in questa casa fedele rimanere zitta costellata di punte di macchie di gore sul tessuto, come vedere i capelli di mia madre perdere la trama e non conoscere i suoi occhi allora ti ho pettinato via dalla mia casa, (rossa in testa)
Quel momento uno tra dormire e non dormire in cui mi traversi le valli, le macchie, disteso su sacchi passi rovine di castelli, braccia, campi, spuntoni di ginocchia e il tuo regalo è porgerti ed accorgerti saperti raccontare senza dire. Quel momento apre una mano a quel che posso ma che non ricordo, mi lancia e sbatte in terra ovunque questa sia, tra il sonno a bocca aperta resta amaro che non spiego, che non ho voluto (significa nel giorno si è già troppo vissuto) (Da Il dentro e il come)
Buongiorno, casa abbandonata tra i ghiacci, salve, cartuccia in canna, pertica da cui si penzola a guardare ciò che meglio sarebbe stato, buongiorno! E sono benvenuta nella gora nel freddo argento dei cardi ma il saluto in natura è comunicazione rada, spenta come chi cui solo solitaria riferisco
Dimmi come hai scordato ciò che sta dietro agli occhi. Oggi è il vento che batte melograno e nocciolo, e intorba l’acqua alle rane: dimmi con che volo di mosca, con straccio salato hai staccato quel che strideva, la schiuma che affiora, la macchia sanguigna – o imperterrita striscia, odore di morte, dolore di volpe. Dimmi quando, se arriva in un fiato, l’attimo netto il foglio che gira, il libro che cambia. Resta per ora al gomito il segno di crosta. La pezza vuota sull’arto, il consiglio d’amico.
Nell’ultimo mese dei tuoi trenta porgo a te le cose che ti cristoforeggiano, le ammiro, le guardo le descrivo, e manca il numero del lotto uscito sulla terna, e nello stesso tempo nessuno è più capace di cenciare, annichilire l’unta polvere deposta sulle carte.
APRI IL PASSAGGIO
Apri il passaggio attraverso la rete. Sbrana, riattacca, riponi l’ordine delle lancette, dell’ampio giro che ha fatto il tempo prima di giungere qui, a noi, ormai, passa: e rigenera fretta il riarmo, che è tardi, di nuovo e nei cesti s’incontrano i passi sui gusci dell’uovo; risuona, ricolloca i pezzi, se uno solo mancasse – saresti
AL FIANCO DELLA GORA
Vetro e crepitio di forasacchi sotto i piedi e brevi piume che perdi sotto la testa bionda. Tu sai il passato con gli occhi la testa tra le gambe mi nasconde quanto di brutto è stato quanto di bello è perso. Cammino al fianco della gora come al tuo magro: dove allinea e dondola il treno della schiena, batte il ginocchio la lenza con cui, dolce, ti ho pescato. Placami la voce e gli occhi con i tuoi se come sembra, conosci ogni mia lingua come il sole e il tempo, come la punta della mano.
POOR LANDSCAPE (Max Svabinsky-Praha)
Il dorso delle mani all’erba medica. Duole la coda seduta in cima alla collina d’ossa. Si guarda intorno, non è l’azzurro, o il verde è il lavoro alle cicale che manca, la diffusa umiltà a non lasciarla sola
IN FONDO NELLA GORA
Si buttano le rondini con la voce stretta a tuffo nella fossa muta d’acqua e unta di cemento. Hanno il grido acuto, cupo delle fini, nell’ora rapida prima della sera, la mia fretta di tornare: pur dove l’osso del nido scricchiola, dove il gatto minaccia. Non temono la cerca, né le pause del vento, o radere l’argine in volo basso e incostante sulle chiome. Sanno che è un rischio la stagione calda. Quel che appare adesso in fondo nella gora è una macchia lunga, magra, bianca. Forse, sfiancato, giunto a una ventata come airone pallido fuggi le tempeste (Da Nell’acqua della gora)
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