« indietro LUCIANO CECCHINEL, In silenzioso affiorare, prefazione di Silvio Ramat, acquerelli di Danila Casagrande, Cornuda (TV), TIf (Tipoteca Italiana fondazione), 2015, pp. 80, € 20,00 raccolta di poesie di Luciano Cecchinel. Un canzoniere dal tono affettivo-familiare risalente alla più alta tradizione letteraria, che da Petrarca e Leopardi arriva sino alla linea anti-novecentesca di Saba, rinnovandola, con accenti di originalità propria e dagli effetti stranianti. Liriche riunite sotto il segno della muliebrità, come designa la dedica a Danila, la moglie, a Silvia e Chiara, le figlie. Liriche stampate a mano, con caratteri mobili, dai maestri artigiani delle grafiche Antiga, che si trovano sui primi declivi delle Prealpi, contigui al paesaggio dove vive il poeta. L’elegante veste editoriale è impreziosita dalle riproduzioni di cinque acquerelli di Danila, i llustratrice di libri per l’infanzia, che dialogano con i versi, avvolgendoli in atmosfere notturne o invernali, segnate soprattutto dalla presenza della neve. La cura editoriale rinvia al labor limae di un poeta faber quale è Cecchinel, ovvero poeta d’antan, come si autodefinisce, ma anche alla delicata materia trattata in questa raccolta, che rappresenta una novità rispetto ai libri precedenti. Non è più infatti, come nel Tràgol jért (1998), il dar voce alla comunità dimenticata e dispersa di Revine-Lago, luogo natío del poeta; non è più, come in Lungo la traccia (2005), la memoria dell’emigrazione lontana, in Ohio, di tutta una generazione e di un’intricata vicenda familiare; né, come in Perché ancora (2005) e ne Le voci di Bardiaga (2008), il ricordo delle vittime della Resistenza della vallata delle Prealpi con tutti i suoi risvolti, e a cui parteciparono anche i genitori del poeta; e non è più, come in Sanjut de stran (2011), la registrazione delle ferite subite dalla natura e «il rifugiarsi tra i suoi detriti e le sue memorie» (C. Segre); qui, In silenzioso affiorare, sono gli anfratti più intimi dell’amore e del dolore che Cecchinel apre ai lettori, s cavando nei luoghi più cristallini e più cupi dell’esistenza. La raccolta è costituita da trentotto componimenti, di cui quattro in dialetto e i rimanenti in lingua, in versi sciolti, generalmente in metrica o dispari o pari. Essa è priva di note, altra novità assoluta rispetto al modus operandi di Cecchinel, i cui libri sono sempre corredati da un importante apparato esplicativo su termini specifici del dialetto e sui tempi ed occasioni di composizione. Qui, forse per un delicato pudore, il poeta ha scelto di non affiancare ai testi alcuna nota, anche se in uno scritto inedito, dal titolo Laboriosa ricostruzione a distanza, egli cerca di dipanare il filo dei momenti in cui i versi si sono sedimentati. I titoli sono costituiti dalla ripresa di un intero verso o di un emistichio del componimento in cui sono contenuti, come nella tradizione della poesia medievale, ma con una cifra sempre originale. All’interno della raccolta si possono distinguere tre tempi degli affetti, che s’intersecano tra di loro: quello dell’amore, quello dell’irrompere negli equilibri familiari di ciò che il poeta chiama «sconquasso», quello del tentativo di elevare a dolore universale un dolore privato. Il primo tempo è scandito dall’epifania idillico-onirica dell’innamoramento, in cui i momenti vissuti si trasformano in «eterni istanti», in «parvenze di echi e albe», in «scie evanescenti di luci e profumi», attraversati dalle «foreste delle stelle», come in una sorta di «firmamento capovolto». L’amata si manifesta al poeta tramite un sentimento panico e un procedimento sinestetico in cui tutti i sensi sono chiamati in causa: «foglie / che bisbigliano nel buio», «stelle / che si confondono in oscuro», «profumo di rose / nelle loro corolle ancora chiuse», «tepore ubriaco». I segnali sono appena percettibili, con il ricorso ad una serie di aggettivi che indicano un’apparizione in punta di piedi: «sorrisi tenui», «sentieri diafani», «stelle pallide», «energia debole», «luminoso effluvio in sogno», «baluginare di risveglio», «luce lieve », «tenui profumi», «nenie lontane». Nella seconda strofa del componimento Come il respiro di un profumo, l’amata irrompe dall’oscurità: «E fosti / sbrecciando
le muraglie del buio, / ammutolendo gli urli / remoti delle notti. / Perché ancora l’ora più oscura / si facesse casa». A livello sonoro l’allitterazione della s e della r contribuiscono a rafforzare questo effetto dirompente, mentre l’utilizzo dell’imperfetto nella prima strofa di Canzone predestinata, «Io cercavo, io attendevo / io sentivo e non sapevo», «io varcavo il folto delle nebbie », contribuisce a trasportare il lettore in un’atmosfera di attesa dell’‘evento’. L’incontro lascia spazio ad una sensualità appena suggerita nella terza strofa, seguita dai puntini di sospensione, a cui fa sovente ricorso Cecchinel: «Solo un po’ più avanti / per lieve trèmito di rovo / sottrassi i tuoi fiori di brina / alle ustioni implacabili del giorno. / E mesta tenerezza sfinì / silenzi e ore.»… Ma in Lungo anni come giorni la sensualità si fa più esplicita: «covo è la tua mano, / la tua bocca / guscio di tepore. // Specchio / l’acqua dei tuoi sguardi, / miriadi di dita / i tuoi petali, il tuo scuro / profumo di fieni.» A questo primo tempo appartengono i componimenti in dialetto: tre della raccolta Al tragol jért - I me insuni sdefadi (I miei sogni disfatti), Al di de festa (Il giorno di festa) e Moros spauridi (Amorosi spauriti) –, uno comparso solo in rivista, Fa lac de luna (Come laghi di luna). A livello formale il primo testo è costituito da tre quartine con rime ed assonanze (ti : ti, sdefadi : parfumadi; guaz : jàz, ardènt : vènt; fardèl : ziel, calicàntus : sàntus); il secondo, sempre di tre quartine, è costruito su un gioco ad incastro con le parole luna, paura, pura, cuna in fine di verso, secondo uno schema ABBA, BAAB, ABBA, e testimonia dell’attenzione costante di Cecchinel a mantenere un equilibrio tra la sfera semantica e quella fonica. Il secondo tempo della raccolta si apre con il componimento In essere come acqua e luce e annuncia la tragedia familiare, ovvero la malattia e la morte di Silvia, la primogenita: «Ma di più allora / l’uno dell’altro avemmo cura: / come lungo una strada per cui era impossibile perdersi / ovunque andai, portai il tuo male, / ovunque andasti, portasti il mio.» E in Segnati e incelabili il poeta, con il ricorso al procedimento analogico che lo contraddistingue, si mette a nudo, senza condizioni: «Bestie esotiche senza la tana / squassata per preferenza / o per oltraggio del cielo. / Come ostesi in una gabbia di disgrazia». Qui ritroviamo la probabile reminiscenza del verso foscoliano «l’Angel di morte per le imbelli chiome / squassa ed ostende coronata testa» dell’ode A Bonaparte liberatore, a cui Cecchinel attinge a livello lessicale, anche per rivelare le esperienze di metafonia e di terapia di gruppo a cui si sottopose con la moglie Danila: «Ma in cerchia comune / senza senso di ostensione, / maledetti e belli di sventura, / avvinti dai torti della sorte.» E il poeta in Grazie ma ancora più perdono afferma: «Perché un figlio che muore / ti dà la grazia / di non aver paura di morire, / anzi, poiché sei morta / piena di piaghe, / di non aver paura / di morire nel male.» Nel sonetto in endecasillabi sciolti E siamo, definito da Ramat «quasi un capolavoro», è posto in exergum l’unico accenno, discreto, ad uno dei gesti quotidiani di Silvia: «sul lago a cui spesso andava la figlia perduta », quello stesso lago in cui Zanzotto la vede «glissare» nelle due liriche a lei dedicate nella raccolta Conglomerati (2009). Coloro che, costretti, restano, vagano remoti «fra esausti salici e spirati pioppi / e inanimate stelle e nubi […]», continua Cecchinel. Nel terzo tempo di In silenzioso affiorare Chiara è eletta a «segno totale, definitivo», depositaria di schegge di vita con cui si tenta di ricomporre un pieno nel vuoto: «E sei tu entro l’affanno / di ogni immagine / che se ne va di lei, / tu a farci tirare avanti, / anche per il peso del vuoto che porti» (Tu di fronte a una fulminea lunga strada). Il poeta lascia aperta la possibilità di un nuovo incontro, ma ad una condizione: «Perché un giorno / se per le loro distanze / di accesi incerti silenzi / sapremo andare ci sarà forse / dato rivederci ». E la raccolta si chiude, in un andamento circolare, con un appello alle parole, che da «residue», in apertura, diventano «coaguli», a significare un’incrollabile fides nella poesia: «segni che foste / inarrestabili come luce e buio, / ancora mi avvolgo / nel vostro oscuro chiarore». Come nell’acquerello posto in antiporta, questa nuova raccolta di Cecchinel innalza ad un livello più alto ancora lo sciame di luci, che dall’oscurità si espande «su tra le foreste delle stelle». (Laura Toppan) ¬ top of page |
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